A A r: » ^ .V w-^L' ^ 3L v m fcì-A3H< DUKE UNIVERSITY LIBRARY Treasure %oom **&£- V ACQUA VINO FARSA IN TERSI DI GIOVAMMARIA CECCHI FIORENTINO. SECONDA EDIZIONE IN FERRARA, PEB LE STAMPE DI DOMENICO TADDEI E FIGLI. T2 63H 1878. Digitized by the Internet Archive in 2011 with funding from Duke University Libraries http://www.archive.org/details/lacquavinoOOcecc Carissimo Signore ed Amico venerando , J_l lungo studio e il grande amore, che Voi po- neste nel publicare ed illustrare le opere del nostro sovrano Poeta , anno fatto tanta utilità alla nostra letteratura , che ciascun italiano ve ne dee sapere obligo immenso. Ora io, che sono il minimo tra i cultori delle lettere nostre, ne' miei lavori danteschi essendo stato di molto aiutato dalle dotte vostre fatiche, colgo la congiuntura di questa publicazione per testimoniarvi la sincera mia riconoscenza. Accoglietela con lieta fronte, e vivete lungamente felice ad onore della vostra e della mia patria. Da Ferrara 3 Luglio 1876. Devotissimo ed affezionalissiiao CRESCENTINO GIANNINI Al eh. Signore Dott Prof. CAELO WITTE HALLE (IN SASSONIA) AI LETTORI CRESCENTINO GIANNINI Sono circa sei anni che ima persona letterata consegnò copia di questo componimento ai signori Tipografi Taddei, i quali tosto lo messero a stampa, aspettando però di dar- lo fuori, quando ricevute ne avessero le note dal medesi- mo promesse. Ora visto il lavoro compiuto, e parendomi non essere da lasciare pia a lungo come negletto nella loro libreria, mi offersi io stesso a supplire a quanto altri me- glio di me avrebbe senza dubbio fornito. Qualunque sia riuscito il mio lavoretto, me ne chiamerò contento, perchè avrò concorso a divulgare un' opera d'uno tra' più solenni comedi del secolo decimosesto. Giammaria Cecchi nacque di nobile famiglia in Fi- renze nel 1518 e , come i maggiori suoi, esercitò il notaria- to , professione a que' di' molto onorabile. Dice di se stesso Vili AI LETTORI eh' egli era uomo tessuto alla piana, e tale concetto eli sag- gezza e rettitudine aveasi procacciato , che nella sua città gli fa pia volte commesso V ufficio ài proconsolo e di can- celliere de' maestri de 7 contratti. Così ebbesi tutto V agio di divenire esperto degli uomini e de' loro negozi. Che se in simili faccende con probità governandosi, adempiva il de- bito suo spettante al luogo natio, aveva pur quello da sod- disfare concernente alla comune patria ; al che da natura aiuti potentissimi aveva sortiti. Abbattutosi in un secolo di corrotti costumi, i quali inducono la più abominanda abie- zione, cercò di giovare alla morale publica, mirando a me- gliorare e perfezionare la privata, con volgere in derisione i vizi, onde erano macchiati i suoi coetanei. Per ciò si pose a scrivere drammatiche rappresentazioni in prosa e in verso, le quali tra di comedie , di farse e di atti scenici aggiun- gono al numero di ottanta o in quel torno. Risorte fra noi le lettere, V Ariosto per il primo porse esempi di dramma- tica ritraente la vita de' tempi suoi ; nel che dal Cecchi venne con tale una felicità imitato, che f tigli imposto il co- gnome di Comico. Ma qui sento sussurrarmi all' orecchio: E perchè ti vuo' tu sempre affaccendare a proporre di codesti classici ? La è passata la stagione delle anticaglie. Le ca- tene aristoteliche valgono a tirare coloro, che non sono pos- sibili ad andare co' loro piedi. Un popolo, che fruisce i benefici del vapore e del telegrafo, mal si acconcia alle pa- AI LETTORI IX stoie delle regole, le quali tarpano le ali del genio, che spa- ziar vuole libero come il pensiero. E non dovea giugner Vora, che le produzioni de' nostri vecchi, costrette alle leggi della triplice unità inventata da' retori, cedesse il posto al dramma storico, il quale in tanti quadri rappresenta un' a- zione non circoscritta da spazio né di tempo né di luogo? — Chiunque à fior di senno, giudicherà se sia o no fiato but- tato rispondere a siffatte capestrerie. Solo sogghigneremo che il teatro italiano e nello scegliere i soggetti e nelV intrecciare la favola e più nel vestirla è così caduto in basso, che se non sorge un qualche vigoroso intelletto , poco è da sperare che se ne rilevi. Il marchese D J Arcais autorevole appendicista teatrale, lamentandone la trista condizione, ne invocava la totale mina, la quale sarà foriera d' un migliore avvenire. Oh voglia il cielo che i voti di lui restino appagati! Che se il Cecchi e gli altri del cinquecento non potranno in tutto togliersi a modelli di comica perfezione, la quale d' altra parte riscontriamo nel Goldoni, ci riusciranno grandemente profittabili per quelle maniere di favella urbana, le quali piene di vivacità, di naturalezza e di grazia, contribuisco- no a fiorire lo stile comico e faceto. Per contrario non offre egli materia da ridere, se non forse da corniciarsi, il lin- guaggio di certi nostri contemporanei? Chi lo crederebbe così riboccante di goffaggini, se coi propri occhi non si leg- gessero ? Basti per le molte questa : Io sto nervosa. Ma io X AI LETTOIII qui, senza punto addarmene, mi sono lasciato gire ad una digressione un po' po' fuori del tema, al quale io ritorno, rammentando che dapprima si appellò farsa la parafrasi od aggiunta a scritture o preghiere, che si cantavano in chiesa, ed epistola farcita quella intr ammezzata di chiose in volgare; farsa perciò sonerebbe componimento di molte cose e diverse. Presso i moderni per farsa intendesi una commedietta per lo più d 7 un solo atto , la quale si occupa soltanto di scherzi e beffe. Nel cinquecento poi che cosa ella fosse ci verrà dichiarato in modo leggiadro dal medesimo Cecchi nel prologo della ROMANESCA : So che vi sarà alcun, che dirà forse : Che umor salso è entrato a costui Nel capo ? Ch' e' non fa più, se non Farse, Componimento non usato ancora Da uom, che nel compor vaglia qualcosa; Massime che egli ha già molti fogli Imbrattati a suoi di' nelle Commedie, Né è in ciò stato tenuto goffo Affatto, affatto. Ai quali egli risponde : La Farsa è una terza cosa nuova Fra la Tragedia e la Commedia : gode Della larghezza di tutte due loro. E fugge la strettezza lor, perchè Raccetta in sé i gran signori e principi. AI LETTORI XI Il che non fa la-Commedia; raccetta, Com' ella fosse o albergo o spedale, La gente come sia vile e plebea, Il che non tuoI mai far donna Tragedia. Non è ristretta a casi : che gli toglie E lieti e mesti, profani e di Chiesa, Civili, rozzi, funesti e piacevoli. Non tien conto dì luogo, fa il proscenio Et in Chiesa et in piazza e in ogni luogo ; Non di tempo, onde s' ella non entrasse In un di', lo torrebbe in due e in tre. Che importa? E in somma eli' è la più piacevole E più accomodata forosozza, E la più dolce che si trovi al mondo ; E si potrebbe agguagliarla a quel monaco, Il qual volea promettere all' abate, Fuor che V obbedienza, ogni altra cosa E le basta osservare il suo decoro Delle persone, essere onesta, stare Ne' termini modesti e della lingua, Parlando come parlano i Cristiani, Che son nati e nutriti qua da voi. Del resto poi eli' ha stitichi e larghi, Tutti vedete, in luogo di fratelli. E se gli antichi non 1' usaron, 1' usano -XII AI LETTORI Li moderni che vagliono; e, se il padre Di quei che sanno non disse di lei, ella non era al tempo suo, o forse Era in que' libri, che si son perduti. E' non diss' anco nò de' fogli, nò Della stampa e dell' uso della bussola. Sono cose però da non 1' usare, Perchè non le trattò queir omaccione ? Usi dunque le Farse chi le vuole Usare, e sappia eh' egli è pure il meglio Far così, che far mostri, e poi chiamarle Tragedie, o Commedie, che bisognino Le grucce, o le carrette a farle andare. E se le s' useranno dugent' anni, Le non saranno cose nuove a quelli, « Che questo tempo chiameranno antico. » Quale che sia la cura, che ci siamo presi, perchè tale scritto si divulgasse , sarà abondevolmente rimeritata , se acquisterà grazia dinanzi ai veri studiosi delle nostre lettere. r ACQUA VINO Farsa di M. Gioyahiabia Cecchi fiorentino, recitata nella Compagnia di San Giovanni Vangelista, il carnovale dell 7 anno 1579. I RECITATORI DELL' ACQUA VINO. MATUSALEMME, vecchio fattore di casa lo sposo. DELBORA, serva di casa lo sposo. ZATTO parassito. CABILLO, servidore di casa lo sposo. SPOSO. ANANIA, scalco per le nozze. MARIA sempre vergine. Due DONNE con la Vergine. SPOSA. CERFUGLL1, contadino. SADOCCO, contadino. Dua QUOCHL AMINADABBE, giovane invitato j IOEL, giovane invitato > allo nozze. OZZIA, giovane invitato I MAMBRE, contadino. GIANNINO suo figliuolo. GIESÙ CRISTO. San PIERO Apostolo. San IACOPO Apostolo. Un altro APOSTOLO. PROLOGO DELL' ACQUA VINO. Il Padre san Benedetto (che fu Abbate già dei Monaci d' Italia Et fondator di tanti monasteri, Et sì gran santo come sa ciascuno, ) Se bene egli occupò li suoi discepoli Neil' orazioni, et ne' divini uffizj, Et nelle discipline, et nei digiuni Et in ogn' altra mortificazione, Forse più che facessi Abbate alcuno ; Fu non di men sì benigno et discreto, Ch' a certi tempi, et in cert' ore, dava Loro anco certe ricreazioni Et esercizi di cose piacevoli. Onde si legge, che passando un giorno Da un suo monastero un balestriero Che andava pigliando, come s' usa, Uccelli, visto i monaci spassarsi In passatempi, come sare' palla simil cosa, pur onestamente, Et che 1' Abbate stava anco a vedergli, L ACQUA VINO. Et ne pigliava spasso; nel suo cuore Tacitamente se ne prese scandolo. Il che quel Santo conobbe in ispirito, Et accostato a lui, benignamente L' accolse, et entrò seco a favellare Di varie cose, sinché cadde dove Voleva, e '1 domandò quel eh' e' faceva Della balestra che portava in mano. Il giovane rispose, che 1' usava Per ire a spasso et ammazzare uccelli. Mostrò 1' Abbate non aver notizia Della balestra, et domandò del modo Di caricarla ; et essendogli mostro, Caricandola il giovane, egli salta In altro ragionare, et mena in lungo La cosa un pezzo. Il che vedendo il giovane, S' appoggia al muro, et scarica pian piano, Et votò la balestra. Lo domanda Il Padre santo, perchè ha fatto quello. Gli rispose il buon giovane : Acciò che Questo arco non si guasti, et che non perda, Con lo star troppo carico, la forza, Acciò eh' al tempo faccia il colpo giusto Et la passata gagliarda. Il buon vecchio, Che 1' aveva condotto ove voleva, Gli disse : Figliuol mio, tu pigli cura, E saviamente, del tuo arco, acciò Ch' e' non si stracchi per troppa fatica : Et così debbo far io de' miei Monaci, PROLOGO. Li quali, affaticati dalli molti Oblighi et esercizi della Regola, Si recreano adesso, come fa L' arco tuo ora scarco. Recreati, E' torneranno ai soliti esercizi Spirituali, più gagliardamente. E per questa cagion li nostri Antichi Che ordinaron questo luogo santo, Concessero che, 1' anno, in questo tempo, Si spassassin le giovane et le più Attempate, con qualche Storia o Atto Recitabile, onesto e lieto, acciò Ch' alla santa Quaresima futura Recreate tornassino all' orare Et agli altri esercizi del convento. La qual usanza seguitando la Nostra Madre discreta et reverenda, Ha commesso a noi altre che facciamo Una Farsa, composta in sul miracolo Che fò nostro Signor dell' acqua vino, In Cana G-alilee. Questo è il suggetto Del Misterio che sian per recitarvi : Et come è sacro, et per ciò reverendo Et grave, così fia anco piacevole : Che ben si può, sanza far atti o dire Parole disoneste, anco far ridere ; Anzi via più, e meglio, perchè viste Le cose oneste e piacevoli, danno Allora e poi spasso, che non lasciano L ACQUA VINO. Rimorso alcuno della coscienza. A le spose di Cristo vogliamo oggi Dimostrar come son le nozze sante, Alle qual Egli si ritrova; et alle Vergini dimostrar a quai conviti La vergine Maria s' usa trovare. Dal qual Atto potete veder tutte Ch' il buon cristiano ancor può da' conviti Cavar cibo, che sia utile all' anima : Il che fia, se vi fia Cristo et la Madre, Et non la vanità eh' il mondo adopra Per rallegrare i suoi conviti sciocchi, Et le sue nozze di peccati piene. Lo sposo della Vergine è Gìesù : Li convivanti, la Madre e i discepoli, Alli quai deve far 1' umile sposa Ogni giorno un convito del suo cuore : Et se le manca il vin pur dello spirito, Faccia il bisogno suo noto alla Madre, Et ella dal Figliuolo impetrerà Che 1' acqua della sua fragilità Si farà tutta caldo vin di spirito. E questo è il senso che dovete trarre Della moralità di questa farsa. Mi resta a dirvi, che se in recitando Seguissi qualche error, (che non vorremmo!) se nei gesti, o nel dir si mancassi Della prontezza che si converrebbe ; Che ci scusiate, perchè noi sian tutte PROLOGO. Novizie, et poco pratiche, et abbiamo Avuto carestia di chi e' insegni. Accettate il buon animo, et s' a questa Volta ne scuserete, ci farete Pigliar animo a farne ancor dell' altre : Onde più instrutte, et più esercitate, Potremo al certo sodisfarvi meglio, Ch' a far, s' impara a fare. Ma ecco già Che e' voglion cominciar, badate a loro. FINE DEL TROLOGO. 11 ATTO PRIMO. SCENA PRIMA MATUSALEMME vecchio, e DELBORA serva. Malusai. Delbora due sei ? Dove s' è ella Fitta questa bestiaccia pazza? Delbora! Domin, che la si muova ! Delbora. Uh, che sarà, Con tanta fretta? Io ammannivo il fuoco, Poi volevo ire a dar beccare all' oche. Malusai. Che t' insegnorno a andar ratta, che tu Vuoi far lor tanti vezzi ? Io ti so dire, Che oggi è il tempo a dar beccare all' oche ! Che, avendosi a far le nozze, fia La cucina, et la casa forse anch' ella, Piena di ladri. Delbora. Uh, coscienza ! che Dite voi ? Mata sai. Quel che fia ; eh' in simil casi E' quochi e' servidori, et de gli altri anco, Fanno quel caso di rullare. 12 l' acqua vino. Delbora. Che ? cose Da mangiar forse ? Matusa!. Et di cotesto, et d' altro : Però bisogna lasciar andar 1' oche Et le galline et 1' anitre, e badare A ciò che si fa là in cucina : intendila ? Vedi chi va, chi viene, et chi intasca, Et chi reca, et chi cava ; che è quello Ch' importa il tutto. Delbora. Uh, Di' el voglia eh' i' abbia Tanto cervello, et cusì aguzza vista, Ch' io vegga il tutto, acciò che non ci nasca Scandol : ma voi dove sarete ? Matusal. Dove ? Sarò per tutto, perche il padron oggi Avendo a stare a fare e convenevoli, Et sua madre e la zia hanno bisogno Di cento occhi per lor, si come cento Saranno anco le man eh' andranno in volta. Delbora. Oh, benedette sien le nozze che Si feciono per me nel mio paese ! Oh che sguazzo si fece ! oh, se voi vi Fussi stato ! so dir che vi ballorno Insino alle predelle. Matusal. A tempo tuo S' usavono andar le gatte in zoccoli. Oh, vanne su in cucina, et abbia cura, Che io vogl' ire a fare un fatto, e torno. Et. in parte, mi vo' levar dinanzi ATTO PRIMO. 13 A questo tripponaccio che vien qua. Che e' non mi si appicassi oggi alle spalle, Che e' "sarebbe atto a divorarci tutti. SCENA SECONDA ZATTO PARASSITO SOLO. A un mio pari che vive di' per di', Si come fa lo sparbier, gli bisogna Mangiar del buon per mantenersi sano ; E più tosto veder di mangiar più, E lasciar le cosaccie a questi avari, Che, avendo il male, hanno il modo a potersi Medicare. E' mi bisogna fare Come e ghiotti che imbottono all' arpione, Ch' e' voglion del migliore. Io non ho il modo A comperare un bue o una vacca, E però cerco tor de' polli, et delli Piccion grossi, fagiani, e delle starne, Che, a capo per capo, coston manco Che quelle bestie grosse, et son più sane : Et quando io posso trangugiarle in dono, A spese di qualcun che si diletti D' empiemi' il corpo di vivande buone, Perch' io empia a lui gli occhi et gii orecchi Di ciance : io mi farei conscienza Di comperarle. Et ho considerato 14 l' acqua vino. Che un mio par fra questi gentiluomini È come la civetta, a punto a punto, Tra' pettirossi : e' gli Tanno d' intorno. Facendo mille tresche et mille baie, Uccellandola : in somma, ella si piglia Piacer del fatto loro, et s' alza e abbassa, E si fa tener matta, e, a poco a poco, Te gli conduce su' panioni, dove È poi stiacciato loro il capo, et ella Se ne pasteggia : et così, alla fine, Chi uccellava, resta 1' uccellato. Così, questi che hanno il modo a spendere. Mi danno desinare et cena a causa Di ridersi di me, et io mi rido Del fatto loro: e così in questo mondo Vanno le cose : chi lavora, dà Le spese a chi si sta, e i poveretti Le danno ai ricchi, e i ricchi poi le danno A quelli che, com' io, non voglion cica Di lavorar : ben eh' io lavoro anch' io, Neil' arte mia, et se non ci va forza Di braccia, ci va industria di cervello ; Perchè e' mi bisogna ogni mattina Pensar dove mi voglia appollaiare Per quel giorno, et talor riesce vano Il disegno, perchè li gran maestri Son lunatichi, et vogliono a lor posta I passatempi. Ove la dò stamani, Cli' io scampi d' oggi ? Il Pontefice qua ATTO PRIMO. De' sacerdoti non manca, ma gli è Troppo superbo ; e poi, la gita è lunga ! Domin, se questo sposo qua vicino Ordina ancor le nozze ? Oli s' io vedessi Il suo famiglio, io lo dimanderei Di quando fanno il fracasso, perchè Se gì' indugiassi ancor qualche di' in là, Io me n' andrei sino in Oierusalemme A casa Caifasse o di Pilato A passar tempo. Ma, oh ventura ! eccolo Che egli esce di casa. A quel Carillo Centomila di quei gialli che ardono ! 15 SCENA TERZA CARILLO servidore, et ZATTO. Carillo. Zatto, che si fa? Zalto. Andavo adesso Astrologando che a questi freddi La nebbia che si vede la mattina È di pericol grande ai corpi, se Ella non è incantata ; et però Cercavo d' uno che venissi meco A incantarla : vuoi tu esser tu Quel tale? Carillo. S' io potessi.... a dirti il vero. 16 L ACQUA VINO. Zaffo. Pagherò io. Carillo. A proposito ! Zaffo. Paga Tu : che sarà ? Carillo. Te lo prometto, ma Da stamattina in là, perchè per oggi 10 ho faccenda sopra capo. Zaffo. Infino A gola vorrei io aver faccenda! Ma che occupazione è questa ? Quando, Quando si fanno queste nozze ? Vuole 11 tuo padrone farle andare a monte, Coni' hanno cominciato a usare molti ? Carillo. Niente, anzi fa oggi, et farà gala: Et per questa cagione i' ho faccenda. Zaffo. Poss' io far per te nulla ? nei bisogni Si conoscon gli amici! Porre a tavola, Servir di coppa e di coltello, dare Ordine ai quochi, assaggiar le vivande, Ordinar con che modo hanno a venire In tavola, et con che corredi, et come Trinciare, et, che so io? soffiare il naso Alle galline. Carillo. Di coteste cose 10 me ne impaccio poco : il siniscalco Di sala et di cucina è Anania, 11 fattor de' fattoi*, 1' architriclino E 1' ogni cosa. Zaffo. Et del vin chi n' ha cura ? ATTO PRIMO. 17 Cavillo. Il medesimo, dico. Zatto. Oh, io mi dubito Che 1' ordine sarà debole e scarso, Perchè ci vuole architettura, e insieme Larga mano a chi vuole averlo buono. Et sai, non la guardare in venti fiaschi! Che, quando il vino è buono, egli sparisce, Perchè alza in su, et ei se ne va in giù. E quei che son da torno, spesso spesso, Giuocon di man. Carillo. Con lui non si potrà. Perchè gli è più sospettoso eh' un ladro. Zatto. Lo credo, perch' io V ho per una certa Spizzeca, che infili con lo spillo con 1' ago le lenti a una a una. Ma che cura è la tua? Carillo. Dell' invitare E gli amici, e i parenti, e i convivanti : In somma, ecco la listra. Zatto. Et t' indugi ora Andarli a invitar? Carillo. Son quattro giorni Ch' i' cominciai, et gli ho invitati tutti Di bocca, eccetto che Gesù profeta Predicatore, che io non 1' ho mai Trovato. Ben il dissi ieri a sua madre, Et invitai ancora lei, et dissigli Che gliel dicessi : ma il padrone ancora Vuol eh' io '1 trovi in persona. 18 L* ACQUA VINO. Zatto. Se egli è Profeta, e' lo sa già. Ma credi tu Ch' e' venga, in fatto ? Carillo. Mi crea" io di si, Perchè gli è buon compagno. Quel Grìo vanni, Figiiuol di Zaccheria, non volle farne Altro, et mi licenziò. Zatto. Pazzo fu chi Ti mandò a lui, et tu pazzo altrettanto Che v' andasti, Carillo. Et eh' è a me ? io ho a far sera! E il padron, essendogli parente, Lo fece, mi cred' io, per cirimonia, Non perchè si curassi che venissi ; Perchè sapeva ben, che essendo stato Venticinque anni a pascersi di ghiande E di locuste nel diserto, come Un uom selvaggio, e' non verrebbe adesso Alle nozze. Zatto. Carillo, in ogni modo In questo mondo impazerien le palle, Ch' hanno il cervel di borra. Il cielo è uno, Et la via dell' andarvi, credo ancora, Che una sia. Questi dua cugini Fanno professione e di profeti E di santi, o d' amici di Dio , 'n somma ; E' mi credo eh' e' sien però, et sono Cotanto diferenti nel procedere, Quant' è dal nero differente il bianco. ATTO PRIMO. 19 Giovanni sta ritirato nel bosco, Vestito d' una pelle di cammello . Mangia locuste et mèi silvestre, et grida Che e' si faccia, come che fa egli, Penitenza et digiuno, et vuol che ormai La scure sia all' albore. Quest' altro È tutto umano, et conversa in fra gli uomini. Et mangia et bee de' cibi che gli sono Innanzi posti ; non impone a' suoi Troppi digiuni o discipline, e, in somma, Conversa insìn coi Publicani et publici Peccatori, scacciati et abboniti Insin da' nostri Scribi et Farisei. Et, per dirla in un fiato, 1' un di lor fa La via erta et sassosa, et 1' altro piana : Sì eh' io, per me, ci sto confuso : et tu Che ne dì? Cai' ilio. Io non son pratico molto Nelle cose del libricin, ma a dire La mia santa parola, io credo che Il Cielo sia coni' una gran città, Che ha molte vie che a quella vanno, Et per ciascuna d' esse chi cammina, Vi si conduce. Zatto. A fé di sguazzatore. Che questa tua resoluzion mi piace. E ha del buon, perchè la salva, conio Si dice per proverbio usato, la Capra e '1 cavolo ; e poi che in ogni modo 20 L ACQUA VINO. Carillo. Zatto. Carillo. Zatto. Carillo. Zatto. Cardio. Zatto. Cavillo. Zatto. Carillo. Zatto. Si può salvare, io son d' oppenione Di pigliar la via facile, et dar piano In su 1 nocciolo, acciò eh' io salvi intera L' anima ; et l)er del buono, et manicare Del migliore, acciò eh' io venga a fare Buono umore et buon sangue; onde mi venghino Buoni pensieri : et acciò eh' io possa oggi Far questo, poi che tu hai cura et carico D' invitare alle nozze, io mi ci invito. Eh! tu non se' su questa listra. Metmici. Io non ho questa autorità. Di tanti Non credi che ne manchi alcun? Si, credo. Oh, non sarebbe brutta cosa che E' vi restassi un lato voto? A Dio: Tu sei un chiacchierone, et si fa tardi, Et io non vo' a far 1' uffizio. Ascolta. Io non posso. Io mi fermo. Io ti licenzio, Che a" non si fa il desinar de' lupi. In fatti egli è vero il proverbio: Chi Vuol gastigare un villano, lo dia A gastigare a un altro, et chi vuole Fare star male un povero, gli dia ATTO PRIMO. 21 Superiore, che sia povero. Questo Morto di fame, ora che gli ha la cura D' invitare alle nozze, gli par essere Noè, che fece 1' arca, che vi messe Dentro che bestie volle. Che tornava A lui di danno farsi onor di quattro Baggiane, et dir: sì bene? In ogni modo Tanto se n era, perchè non ha voce In capitolo. In ogni modo, io voglio Veder di desinarci, et non mi voglio Fare a costui, né anche a queir altro asino D' Anania maiordomo, architriclino, Che essendo l' uno et l' altro et servo et gonzo, Griucherebbon di schiena et d' ignorante : Anzi mi tratterò qui intorno, tanto Che o lo sposo, che è tutto gentile, qualcun di quest' altri galantuomini, Ci comparisca, et, burlando burlando, Passerò drento : chi è n tenuta poi, Iddio 1' aiuta ; e' non si caccia un cane, Manco si caccerà un par mio, di chi Le nozze han più bisogno che del cuoco. 00 L ACQUA VINO. SCENA QUARTA DELBOEA e ZATTO. Delbora. Noi cominciammo a buon' ora. Zatto. Ecco appunto La fante fuora. Delbora. Quel vuol eh' io stia in casa, L' altro mi manda fuora. Zatto. A quella Delbora Sanità et danari. Delbora. Eli, Zatto mio, Dì : rimbrotti, et travagli ; et apporrà' ti. Zatto. Voi siate sì affaticata, e idolica In su le nozze ? Delbora. Nozze ! nozze ! A che Giovan le nozze a noi ? a maggior briga. Non sai tu come disse un vetturale Che intese che il padron stato era fatto Pontefice queir anno ? : Insino a ora Io ho guidato dua muli ; quest' anno Mi toccherà a guidarne dua più, che Saranno quattro. Così, dico, insino A ora ho auto a ubbidire a dua, Et ora arò a ubbidire a una Di più : et sai che oggi le fanciulle Hanno la discrezione alle calcagna. Vecchia qui, vecchia qua : va. porta, reca ATTO PRIMO. 23 Et reci il pasto ! et 1' asinaccio di Grierusalemme ha esser questa vecchia. Et pur ci poss' io star ! che queste spose Recan sopra le zane delle donora La granatuzza per ispazzar via Le serve e 'servidori, insin le suocere, S' elle non v' hanno il cui terroso , in modo Che le possino dir come colui : Sdomino, sdominazio ! Oh mala cosa, Condursi vecchia a discrezion di giovani ! Zatto. Non vi vogliate ora sognare il male Prima eh' e' venga. Delbora. Eh sì! son certi sogni, Che ei riescon visione in capo ! Io conosco ben io le mie galline, Senza calzare : chi vuol veder quello Che ha da esser, guardi quel che è stato : Sempre fu botte et vino ; anzi si va Di male in peggio, et cresce 1' albagia, Et muor la discrezion. Zatto. Deh, lasciamo ire Questi ragionamenti odiosi, et ditemi L' ordine che si fa nella cucina, Però che tutte 1' altre son novelle Da dirle a vegghia. Ben potrete, si, Reggerla seco ; io vo' darvi una regola : Dite si, a ciò che ella dice si, Et no, a ciò eh' ella vuol che sia no. Delbora. Eh, Zatto, tu conforti e cani all' erta, 24 i/ ACQUA VINO. Che a nessun confortato! mai dolse La testa. Vuoi, che se veggo andar male La roba, eh' io '1 consenta ? Zaffo. Ecco dove ora Voi et quest' altri vecchi dan nel lume, Et rovesciano il fiasco ! Se e' corressi Il Giordano et il mar di Galilea Salsa et savor, toccherebbev' e' mai, A intignervi '1 dito ? Questa roba Ha esser vostra, o de' vostri figliuoli, Che voi volete pigliarvi la briga Di dirizzare il becco agli sparvieri ? Lasciate andare il mondo, come e' vuole Chi n ha che fare, e chi ha la palla in man») E la mestola. Del bora. Fia cosa impossibile. Zaffo. Dunque verrà da voi la cosa ; et voi Arete mille torti, et ella mille Ragioni. S' io volessi gettar via Questa guarnacca, et restar nudo, che Ve a' avete a dar voi fastidio ? che, il Più, potresti, coni' amorevol, dirmi : Zatto, avvertisci, stu la getti via, Tu non n' hai più, tu ti morrai di freddo. Ma b' io la vo' gettare in ogni modo ? Oh, lasciatemi fare! anzi, più presto. Se la potete ricor voi et tòrvela, Fatelo, et state cheta. Oh mona voi, Egli è la bella cosa intender bene ATTO PRDIO. 25 Il taglio della carne! Il grado vostro In questa casa è d' esser fante e serva Et d' ubbidire : ubbidite et servite, Et non vogliate fare il consigliere : E se 1 padron toe la pala per trarre La roba fuor, togliete vo' il forcone Per aiutargli, et gettatela in lato, Che la possiate avere a un bisogno Per voi. Delbora. Uh coscienza ! non già io, Che sarebbe un rubare! Zatto. Uh coscienza! E cotesto proceder vostro, vi Farà star mal di qua et di là peggio, Che vi morrete disperata. Fate A modo mio, et viver ete lieta Come fo io, di' per di' et innanzi Col debito, et chi sguazza un tratto, dice L' avverbio, non istenta sempre. Delbora. A Dio ; Cotesta tua dottrina non mi garba. Zatto. Né a me la vostra. Il vantaggio è alloggiarne Il manco che si può, et lasciar ire L' acqua all' ingiù. Ma sta : ecco lo sposo Che torna a casa. Oh Cesare, oh Achille ! 26 l' acqua vino. SCENA QUINTA SPOSO, ANANIA, SCALCO et ZATTO. Sposo. Fa che non manchi cosa alcuna. Anania. Il tutto Sarà per eccellenza in punto e all' ordine. Zaffo. Dio vi dia sanità et fanciul maschio, Signore sposo, et buon prò di sì hello Et onorato parentado. Sposo. Zatto, Tu sia il hen venuto : e' mi da' innanzi A tempo, et mi risparmi il far cercare Del fatto tuo. Io to' che stamattina Tu ti rallegri, et mangi qua con noi. Zatto. Eccomi alli comandi vostri sempre. Anania. Forse, padron, che non tenne alla prima? Zatto. Tu non vedi, Anania, che veste è questa Logora et frusta ? s' io me la lasciassi Troppo tirare, ella si straccerebbe, E io non arei da mettermene un' altra ! E poi, dice il proverbio, chi non sa Ricever cortesia, non la sa fare : Se questo gentil uomo vuol degnarsi Ch' io vadi alle sue nozze, che non sono Né suo parente nò suo nulla, solo Per cortesia di lui, et perchè io Trattenga li suoi convitati, et che ? ATTO PRIMO. 27 Volevi che, col stare in su la schiena. Che non me ne sapessi grado ? Chi Dà presto e allegramente, dà dua volte S' io russi stato ricco, io sarei stato Magno più d' Alessandro !.... Io non ho roba Da dare, et però dò quelch' io ho : "buona Cera, et volontà pronta. Sposo. Tu mi sei Sempre piaciuto, Zatto mio, et so Che tu sei galantuomo, et che tu meriti Una corona. Anania. Che ? di carta ? Zatto. Serba Per te cotesto onor, che più lo meriti, Accompagnato con le scope. Sposo. Oh, ecco Qua le nostre parenti. Andate in casa, Et direte alla sposa che le vengono. Zatto. Et tra tanto io berò, per far la pace. SCENA SESTA MARIA VERGINE, DUE DONNE SECO, ET LO SPOSO. Maria. Il parentado et 1' amicizia ci obligano A compiacere a chi e' invita, et 1' ora Si dee più tosto anticipare, a causa Ch' e' non si tenga a disagio persona. 28 I," ACQUA VINO. 1. Donna. E poi, e' s' hanno a fare e convenevoli Fra noi, avanti che gli uomini arrivino. Sposo. Voi siate tutte molto ben venute. Maria. Et voi il ben trovato. Orsù, di nuovo. Buon prò vi faccia. /. Donna. Buon prò. Sposo. Gran mercè A tutte. E voi, madonna, dov' è il vostro Gesù ? Maria. Non può star, credo, a giugner troppo. Perch' io li fé' l' imbasciata, e mi disse Che verrebbe, com' ei fussi spedito Dal predicar. Sposo. Venga a sua posta, basta Che si degni venire; io ne cercai Ieri, et mai noi potei trovare. Maria. Egli era Ito in Gierusalemme, et tornò tardi, Et, mi disse, per questo effetto solo. Sposo. Tanto maggior fia 1' obligo : ma ecco La sposa a noi. Maria. Tu sia la ben trovata. SCENA SETTIMA SPOSA, MARIA vergine, SPOSO, et le due DONNE. Sposa. Et voi le ben venute. Maria. Iddio vi doni ATTO PRIMO. 29 La sua benedizion. I. Donna. Buon prò vi faccia. Sposo. Ben vi venga. Sposo. Orsù, entriamo in casa al fuoco Che il tempo lo ricerca, e aspetteremo Quelli eh' hanno a venir, con più nostro agio. Maria. Il compiacervi mai ci fia disagio. FINE PEL PRIMO ATTO. 30 ATTO SECONDO SCENA PRIMA CERFUGLIA et SADOCCO contadini. CerfugHa. Dove dove sì carico, Sadocco? Sadocco. A casa del mio ostico, eh' ha fatto Scandolezzo. Cerfuglio.. Che cosa? Sadocco. Ha tolto moglie, Et so eh' e' dehbe ad ora ad ora fare La stanfanata con le melarance, Come s' usa fra noi. Chi sa ? potrebbe Darci una buona mancia; al meno al meno Se n' ha a cavare una satola buona : Et io ci son venuto per intendere Quando si fa lo sguazzo, e porrò intanto A cigna a spese sua. Cer faglia. Et che gli porti? Sadocco. Tu vedi, quinci dentro son corbezzole, Che la Creofe mia serbò sul palco, Et quinc' entro enno nespole, e qui sorbe ; ATTO SECONDO. 31 Una insalata qui di pappastronzoli, E terracrepi; et che si può recare Di questo tempo ? Cerfuglia. Dei cappon, dell' uova. De' tordi, colombacci et colombelle. Sadocco. No, no, s' awezzerebbon molto male. E poi sai tu come dice 1' avverbio ? Che chi vuol ben dal popolo, lo tenga Magro : et queste son cose che faranno Aguzzar V appipito agli svogliati, Che è quello che garba a' cittadini, Che, manicando sempre cose buone E assai, son ripieni, et però vogliono Cose che sien da svogliati. Noi altri Abbian bisogno de' polli et dell' uova, Che ci cavin dal mal dello scaduto. E tu dove ne vai, Cerfuglia ? all' oste ? Cerfuglia.Cosi lo spenga la saetta e 1 fistolo, Coni' io vorrei capitarvi col fuoco, Che, 1' assassino, perchè mi trovò Ch' io avevo imbolato un pò di vino. Che fu per erro.... ! Sadocco. Come dire, in prova, Che non te n'avvedesti.... Cerfuglia. Appunto, el boia ! Sadocco. E l'è usanza nostra, et per disgrazia Noi non erriam mai a danno nostro, Onde credon che noi facciano a male Cotale. S2 L ACQUA VINO. Cerfuglio,. EU' è così, e m' ha però Posto un' accusa al podestà. Sadocco. Che ? ha fattoti, Come s' è a dir, qualche budel d' engiuria ? Cerfugli a. Un simil fatto : et sì m' ha detto un Sere, Che s' ella segue innanzi, ella sarà Una mala faccenda; e a questa volta Ce n andrà, ti so dir, Sadocco, il mosto Et 1' acquerello. Ond' io vo a trovarlo, Et vo' veder, se con far seco il buono, La gatta morta e '1 doglioso, io potessi Adolciarlo, che e' mi cancellassi. Ma dice il Ser, che bisogna che e' dica Gratisse, che poss' egli esser grattato Dagl' orsi, o sì da' lupi ! E se non vuole Farlo.... Sadocco. Come farai? Cerfuglio,. Caccerò fuoco Nella casa, e m' andrò con Dio. Che diacinc * Sarà, quand' io abbandoni il paese ? Io non ci lascerò troppo tesoro; E' si lieva per tutto il. sole. Sadocco. È vero : Ma chi non fa del bene a casa sua, Mal ne farà a casa d' altri. Cerfuglio. E spesso Avvien che chi muta paese, ancora Muta ventura. Sadocco. Ma ceco la fante ATTO SECONDO. 33 Dell' oste mio : vatti con Dio, Cerfuglia. Cerfuglia.Seiìmni delle nozzi. Sadocco. Arrivederci. SCENA SECONDA DELBORA, et SADOCCO. Delbora. Eccoti F arte che mi convien fere Tutto quest' anno. Sadocco. A Dio, mona coliei. Delbora. Sadocco, che e' è ? Sadocco. Voi siate sì Carica ? Delbora. Tu tei Tedi : la padrona Nuova, che mi dà già di queste mance! Tengo da casa sua per queste vesti, Ch' è discosto quasi un mezzo miglio, Che gliene possin cavare e becchini ! Che dirò tanto mal, che m' ho fiaccato Il collo ! Elle hanno, mone sciocche, Sempre sempre più fogge et più grillande Nel capo, et più nahissi et gerarchie, Che maggio foglie, et a noi altre tocca Fare il bastagio : toma, corri, corri ! Mala ventura giunga a tutte, che Noi sian di carne et d' ossa come loro, A lor marcio dispetto ! 34 L ACQUA VINO. Sadocco. Et che s' ha a fare ? Egli enno ricchi, et noi altri sian poveri : Et la carne de' poveri, tu sai, Che puzza viva, et sian noi altri tutti Nati per essere asini, et portare A loro il vino, et ber 1' acqua. Delbora. Il malanno E '1 gavocciol che venga loro ! Io so Ch' io berò il vino a lor dispetto, et sempre Vo' del migliore : noi n abbiamo adesso Per la famiglia certo, eh' ha i piò gialli : Credi tu eh' io ne bea ? ! Sadocco. Non, cred' io. Delbora. Tu Cantasti finocchino : s' io avessi Voluto mangiar male, et ber peggio, Mi stavo a casa mia. E' s' è provisto Certo vin per le nozze, et la figliuola Di mia madre n' ha tolti quattro fiaschi, Et fatto far le sparizioni. Sadocco. tòi ! Tu non aspetti e' ti faccin la parte. Delbora. Io starei fresca, a discrezion di cani : Mangiar, se ve n' avanza ; o bella villa ! Sadocco. La sposa e' è ? son fatte ancor le nozzi ? Delbora. Le si fann' oggi. Sadocco. Dunque io sarò giunto Come vuol esser 1' arrosto. Delbora. Sì bene. ATTO SECONDO. 85 Sadocco. Io vo' posar queste bagaglie, et ratto Irmene a casa, por tornarci avale Co' suon grossi, e col maio ; diacine, che E' non ci dien la mancia ! Delbora. Poveretto, Che io ci veggo andar le cose tanto Appunto, eh' io non so che dire. Sadocco. non si Buscherà almeno una sporta d' orliquie E catriosi per portare a casa? Delbora. Tu sai, Sadocco, eh' io ti fo de' vezzi, Quando posso ; vedrò che tu ne porti Qualcosa in ogni mo' pe' tuoi cittoni. Che n' è di loro, et di mogliata ? Sadocco. Bene, È tamant' ella, che questi acquazzoni L' hanno fatta gonfiar. Delbora. Sarà più tosto Stata morsa da qualch' animalaccio Velenoso ! Ma entra in casa, che, Se Carillo, che vien di qua, ti vede. E' perrà poco poco a comandarti : E sai, che no '1 sa fare ! Sadocco. Oh, dagli il fuoco ! 36 l' acqua vino. SCENA TERZA CARILLO et dtja QUOCHI. Cavillo. S' io non venivo per voi, dite il vero. Quanto stavate di più ? I. Cuoco. Adesso adesso. Cavillo. Fattene beffe, so dir che per voi S' andava a desinare a mezza notte ! II. Cuoco. Non hanno fatto li nostri compagni Ciò che bisogna? Cavillo. Et a che far ci vieni, Se loro avieno a fare, o hanno fatto ? Che ci vien, per rubare ? che voi, forse, Non avete le mani fatte a oncini! IL Cuoco Che ci hai per ladri ? giinoci con Dio. i". Cuoco. Che caparron, matto spacciato ! chi T' insegnò, babbuasso, per parole Guastar li fatti tuoi? Carillo, noi Sian stati a casa a far li steccarielli, Per nettarsi li dienti ; eccoli. Ma Ecco delli invitati, entriamo, entriamo. Cavillo. Chi si fida di voi, so dir, sta fresco. ATTO SECONDO. 37 SCENA QUARTA AMINADAB, IOEL, et OZZIA giovani. Aminad. Quand' un si trova in luogo ove gli piaccia La stanza, o per la cosa che e' "vi vegga, che egli senta, che gli vadia a grado, H tempo passa, eh' ei non se n avvede. Io vi prometto la mia fede, eh' io Sono stato a udir quel G-iesù Cristo Predicar per tre ore et da vantaggio, Che e' non m' è parato un quarto d' ora : Et se ei non finiva, il nostro sposo M' aspettava tutt' oggi, perchè io Me n ero andato in estasi. loel. Oh, sentisti Voi mai più predicar con maggior grazia, Et con maggior facondia et maestade? Et anche quella sua faccia accompagna La grazia assai : avetelo voi visto, Messer Ozzia? Ossia. Signor no, che io Sono stato per miei bisogni fuora Per 1' Egitto due anni et da vantaggio ; E quand' io mi partii di qua, non era Ancor romor del fatto suo, et poi Ch' io son tornato, V ho inteso dire, 38 l' acqua vino. Ma per 1' occupazioni eh' io ho aute. Non T ho potuto veder, non eh' udire. Aminad. Be', cercate d' udirlo et di vederlo, Perch' io vi dico, che ci arete tanta Sodisfazione, quanto aver si possa Di cosa alcuna. Egli è, la prima cosa, Dell' età di trenta anni o quivi intorno. Ozzìa. Il fiore stesso ! Aminad. Et di pel rosso, ma Non infocato, quasi tende al biondo, Con una carnagion proprio di rose. Poi, una faccia gentile et benigna, Che, essendo messa in mezzo da una bella Capellatura inanellata et lunga, Come F usan portare i Nazzareni, E accompagnato dalla barba rossa, Non molto folta, inanellata et crespa, Distinta in due ; dà una grazia tale A tutta quella testa, che non può Vedersi uomo più bello. Ioel. Voi lasciate La bellezza celeste de' duoi occhi, Come due stelle, che, gravi et onesti, Giran con tanta maestade attorno, Che si conosce in loro un certo che, Io non dirò, d' autorità, ma, certo, Di divino ; una voce, poi, composta, Nò troppo alta nò troppo bassa. In somma La natura non può far meglio. ATTO SECONDO. 39 Aminad. E poi, Un corpo d' una altezza giusta, ma Non grande : ben composto, che, coperto Di tonaca et mantel lungo, all' usanza De' Galilei, agginngon maestà A maestà. Ozzia. Voi me lo dipignete Sì vago, eh' io dispongo di vederlo. Aminad. E se volete aver contento intero, Cercate di sentirlo ragionare, Et di parlar con seco; et vi prometto Che resterete sì preso da lui, Che voi direte, sì come hanno detto Et Giovanni figliuol di Zacchera Et molti et molti che gli vanno dreto, Ch' e' sia cosa divina, et quel messia Che dee venire. Ozzia. Se voi credete Ch' io m' intenda di nulla, promettetevi, Che non si può sentire un parla 1 ' meglio Io ho sentiti e Farisei, che fanno Profession di letterati et di Bei dicitori, predicar nel tempio ; Ho sentiti gli Scribi, et quanti sono Et in Gierusalemme et fuor Dottori Famosi et chiari per scienza et arte : Et ho sentito Giovanni, figliuolo Di Zaccheria, che con quella sua voce Accompagnata della vita santa. 40 l" acqua yino. Dà gran compunzione, et dà spavento ; Io per me, non ho mai più sentito Uomo che parli con più fondamento, Et più facilitade et meglio. Io dico Che quelle sue parole son, nel cuore Delli ascoltanti, strali, appunto tutti Infocati, che passono il cuor tutto, Et lo riempiono di compunzione Et di terrore et di speranza, et fatti Conoscere in un punto Iddio giustissimo, Et tutto pieno di misericordia. Io, per me, non senti' ma' a' miei di' meglio. Ioel. Ditemi poi, con che autoritade Egli riprende, et corregge. ! et con che Sacrosanta scrittura! Ozzia. Che ne dicano Questi nostri dottor ? Aminad. Crèponci sotto, Perchè par lor restar lucerne spente, Et egli sia la luce stessa. Ei 1' hanno Già più volte tentato, et ne van sempre A capo rotto, et più gli fa stupire, Che non si sa donde costui s' ha tratta Così bella dottrina et così alta. Ioel. Io ho sentito a cotesto proposito Dire a più di cinquanta: Come ha Costui, che non ha mai imparate lettere, Tanta dottrina? Noi sappiamo pur, che Questo è figliuol di quel legnaiuol, che ATTO SECONDO. 41 Avea nome Giuseppo, e di Maria, Poveri lavoranti, se ben nobili ; Che se volevon viver, bisognava Che lavorasser giorno et notte, et che Non ebber mai il modo a fargli pure Insegnar 1' a b e : or egli espone La scrittura così distinta et chiara, Che il maggior teologo del mondo Non ne saprebbe alla metà. Ond' altri Raccontano, et si dice anco per vero, Che egli non è figliuolo di Glioseppo, Ma che la madre sua sendo sposata, Fu salutata dall' Angelo, et che Ella, che è la santitade stessa, Lo concepette di spirito santo, Et che avanti che Gìoseppo, il quale Era uomo santo.... Ozzia. Io lo conobbi a pieno. Ioel. La menassi a casa sua, s' awedde Che la moglie era gravida, per che, Essendo uomo da bene, andò pensando Di lasciarla di cheto ; ma avvertito Dall' Angiolo di quel eh' era seguito, Et come questo era '1 figliuol de Dio, E '1 Messia promesso, stette a cura Di lei, mentre eh' e' visse, e in verità Che, et nel dire et nello aspetto, gli ha Tanto dell' eccellente et del divino, Che ei si può di lui credere il tutto. 42 l' acqua vino. Avete voi sentito ancora come Quando egli nacque, apparve in oriente Una stella, che fu là da quei savi Magi, eh' hanno di ciò scienza vera, Conosciuta per stella sua, et stella D' onnipotenza : onde si mosson già Dei lor paesi, et vennero in Giudea, Et in Gierusalem, città reale, Per intender di lì 'n che luogo fussi Nato, quel che era gran Re de' Giudei. Ozzìa. Si, io me ne ricordo, et che perciò Quella città fu tutta in gran bisbiglio, Et che Erode se ne turbò molto, Et si volse saper da loro il tempo Di quest' apparizione, et volse intendere, Dalli più saggi, dove il gran Messia Nascer dovessi; et mi ricordo, che Mio padre, che era allora uno dei primi, Mostrò con gì' altri, come in Betelemme Il profeta dicea eh' ha a nascer Cristo : Onde per non guastar, come si dice, La coda del fagiano, et per averlo, A man salva, mandò li Magi là, Per trovarlo, et lor disse che, trovatolo, Gliene significassero : ma quelli, trovatolo o no, non ritomorno A lui, ma se n' andar per altra via : Et occorse tra tanto che da Cesare Erode fu chiamato a Roma, per la ATTO SECONDO. 43 Lite eh' avea con li figliuoli, dove Stette diciotto mesi o poco meno ; Ma poi pacificatosi, per opra D' Ottaviano Augusto, coi figliuoli, Bitornò qua; et venutogli in mente Questa cosa, per torsi questo scrupolo, Fece ammazzare in Betlemme e in quelli Contorni, quanti putti si trovorno, Da anni dua in giù. Ma dico : se Questo predicatore, è Galileo Nazzareo, ei non è di quel luogo Donde il Messia deve venne ! Aminad. È vero Che e' si chiama Galileo, e ancora Di Nazzarett, ma non è in verità D' alcun di questi luoghi : la sua origine Vien dalla stirpe real di Davitte, Che fu di Bettalem come sapete. È vero che, essendo poi venuto Il Regno delli Ebrei in quello Erode, G-ioseffo et Giovacchino, avo materno Di questo Giesù Cristo, ritornorno Ad abitare in Nazzarette : forse Per levarsi dinanzi a quella bestia, Che per regnar nel non dovuto regno Sicuramente, sotto varie scuse Ammazzò quanti aver potesse in mano Di quella stirpe regia. In Nazzarette Si maritò Maria, madre di lui, 44 l' acqua vino. A Grioseffo, e in quel luogo, si dice, Che 1' Angelo gii disse eh' il Messia Era incarnato in lei. Poi quando Augusto Mandò V editto, che ciascuno andassi Alla propia città ove era nato, A farsi registrar, par che Grioseffo, Con questa moglie sua gravida, andassi In Bettelem, et eh' ivi in quel trambusto Nascessi questo Cristo, et che poi indi, Avvertito dall' Angelo, fuggissi Neil' Egitto, Grioseffo ; et per tal via Scampò 1' empio furor di quel crudele, Che uccise tanti putti ; et là si stette Insin che visse Erode. Ma tornando In Bettlem, et sentendo che Archelao, Figliuol d' Erode , regnava ivi in luogo Di suo padre, temendo anco di lui, Se n' andò abitare in Nazzarette, Là dove è stato : et di qui vien che esso Et Galileo et Nazzareo si chiama. Ozzia. S' io ho raccolto ben questo discorso, Et accozzato con quel che diceva Mio Padre già, io ho gran fantasia Questo uomo sia quel gran profeta, che Deve venir. Dicea mio padre, al certo H tempo del Messia esser venuto, Et lo cavava della profezia Di Giacobbe, che disse, che il regno Non uscirebbe degl' Ebrei, insino ATTO SECONDO. 45 Che non veniva il Messia. Ora il regno Si sa che non è più nel sangue ebreo-: Erode fu Idumeo, et i Romani Sono d' Italia. Et Balaam predisse, Che il Messia verrà, quando i Romani Fussin signori d' Israel. Adunque, Il tempo è ora. Poi si sa\lel certo, Che il Messia nascer deve in Betelemme ; Si sa, che e' deve fuggire in Egitto, Et che deve esser detto Nazzareo. Or concordando queste parti in questo, Et aggiunta la grazia del suo dire, Mi par che ci abbia buona parte. Ma Il Messia farà molti miracoli, Et di questo io non v' ho sentito fame Memoria alcuna. Aminad. E' s' è detto di molte Cose di lui maravigliose, ma Egli è giovane ancor. Ozzia. Staremo adunque A vedere il successo. Ma sentite Che buon cavallo è un ragionamento Piacevole ! : noi siam giunti alla casa Dello sposo, senza esserne avveduti, Et per segno di ciò, eccolo fuora. 4f> l' acqua vino. SCENA QUINTA SPOSO, AMINADABBE, IOEL, et OZZIA. Sposo. Ben venga questa nobil compagnia. Aminad. Et voi il ben trovato. Ioel. Sian noi stati Troppo a venire ? Sposo. Signor no, che ancora Ci inancon molti. zzici. Sta bene ; e si dice, Che chi dà spesa, non de' dar disagio. Sposo. Mai darete voi né 1' un nò 1' altro. Aminad. A dirvi il vero, io ero a sentir quello Vostro parente predicare, e in fatto Non m' accorgevo che si facea tardi. Sposo. Non era tardi, perchè ci ha a venire Ancora lui. Ozzia. Ci ha a venir Griesù Cristo A desinare a queste vostre nozze ? Sposo. Signor sì, perchè sian parenti stretti. Aminad. Ecco, messer' Ozzia, che voi arete La grazia di vederlo, et di parlargli. Ozzia. In verità che dove è il signore Sposo, io non posso non avere Ogni contento, ma aggiuntoci quello Che voi mi dite che ci dee venire, Io non crederrei mai di migliorare. ATTO SECONDO. 47 Sposo. Entrate, perchè già e' è la sua madre. Ozzia. Et anche lei ho caro di conoscere. Sposo. Ma lascian prima uscir giovan villani. SCENA SESTA SADOCCO, SPOSO, IOEL, et OZZIA. Sadocco. Volete voi covel, Padron ì Sposo. Va sano. Fa vezzi a quelle bestie. Sadocco. Io non farei Vezzi a me stesso. loci. Tien conto degl' agli Che tu hai mangiati, perchè son de' fini. Sposo. E daddovero. Sadocco. E che volete fare? Ognun non può manicar del castrone del bue, come voi. Ozzia. Togliete su. Ciascuna bestia fa '1 suo verso, entrate. Sadocco. Io vogT ir ratto per la cornamusa, E tornar per la mancia a queste nozze. 48 L ACQUA VINO. SCENA SETTIMA MAMBRE, GIANNINO suo figliuolo, et SADOCCO contadini. Mambre. A Dio, Sadocco. Sadocco. 0, buondì, et buon anno : Dove, dove Mambre? Mambre. Vengo a cettà A vendei* certe zaccherelle, et parte A comprar qui per questo citto un poco Di panno da vestirlo Sadocco. A mano a mano Sarà passato il verno. Mambre. Et che vuoi fare? Dice 1' avverbio, che i ricchi manucono Quando n' han voglia, e li povarelli Quando gli hanno covelle. A dirti il vero, Il mio cognato ha tolto moglie, et mogliama Vuol andare alle nozzi, et vuol menallo. Ma io tenciono seco, che lo scempio Vuol tante cose, che bisognerebbe Aver 1' entrate eh' ebbe Salamone, Et non sarebbon tante. Sadocco. Citto mio, E' non bisogna aver tante le voglie, Ch' il babbo ha poca borsa. Giannino. Et che vogl' io ? Uomo, state a udir le mia ragioni : ATTO SECONDO. 49 La mamma dice eh' io sono il maggiore. E '1 primo citto che nacquette in casa, Quand' io vi nacqui, che nacquetti 1' anno Che si fé '1 Gìubbilemme, et che si stava, Dice ogni gente io non me ne ricordo, Perch'io non v' ero, quand' io nacqui Mambre. dove Eri, sgraziato? Giannino. A far covelle a buoi. Basta, io nacquetti un tratto, e so '1 maggiore. Sadocco. Ebbe tuo padre figliuol masti? Giannino. Dicono Ch' e' n ebbe nove, che morinno, e eh' io Fu '1 decimo, et lo so, perchè la mamma Me 1' ha detto. Mambre. Et sei decimo da vero ! Giannino. Lagatemi finir le mia ragioni : La vuol eh' io vagga costancioltre seco, A casa 1 zio, che è de' principali Del suo comuno : how' io però andare • Con questo cotal brutto e rattoppato ? Sadocco. A questo hai ragion tu. Giannino. Io gli chiedevo Che mi facessi un cotal nuovo, verde, di quel panno eh' ha '1 color del cielo. Mambre. Cotesti son di dogagio in treagio. Che costan tanto tanto ! Sadocco. . Lagal dire. Giannino.^ vi mettessi un coso giallo a torno, 50 l' acqua vino. Con quel capparuccin, qua doppo reni Mambre. E quattro sonaglini ! ewene più ? Giannino. E un berrettin rosso. Ho io però Chiesto qua il vestir del sacerdoto Di Gerusalemme ? Mambre. E poi paressi, Col capo rosso et con le spalle verdi, Un di quelli uccellon che stanno in gabbia, Che dicon : chi lo ruppe ? tu, tu, tu ! Eh mattarello ! Giannino. E' F ha pur Ghieconia ! Mambre. Oh, vuo'ti tu agguagliare al figliuolo Dell' oste ? caponcello ! Giannino. E Begnamino ? Mambre. Oh, gli è '1 figliuol del messo ! Sadocco. Odi, Mambre : Contentalo, eh' e' debbe aver la dama, Et vuol che la lo vegga ripulito, E vestito, coni' usano oggi di' Questi stiattoni ; eh' è forza eh' e' sieno Figliuoi dell' oste tutti, a poi che gli hanno Tanta albagia intu la testa. Yieni, Che io ti to' menare a un mie amico. Che ci servirà bene. Giannino. Oh, oh, vedete Se quest' uomo Y intende bene ! Mambre. Eh, io Non m' intendo di panni scolorati ! Sadocco. s' io te dico che tu venga meco ! ATTO SECONDO. ~)\ Ma facciali presto, perchè mi bisogna Tornar a casa tosto, che '1 padrone Fa nozze, e io ce to' tornar co' suoni. Giannino. Io verrò anch' io, quand' io arò '1 gabbano, A casa 1' oste vostro a far la suona. Mambre. Et che ha' tu a far dall' oste, Decimo ? Giannino.Ver fargli queir onore, e ristorarlo Della fatica, e aver delle nozzi. Sadocco. Infin, tu sei tutto garbato ; o vienne ! Giannino. Oh s' io 1' ho, io vo' far tante cotenne ! FINE DELL ATTO SECONDO. 52 ATTO TERZO SCENA PRIMA GIESÙ CRISTO, S. PIERO et gli altri duo APOSTOLI. Giesh. Voi eh' avete lasciata ogn altra cosa Et seguitato me, starete in cielo, Sopra dodici sedie, a giudicare Le dodici Tribù ; et chiunque lascia padre, o madre, o mogliera, o figliuoli Per amor .mio, averà in terra qui Cento per uno, et vita eterna in cielo. Sarete, et siate voi '1 sai della terra : Perciò avvertite, che se e' sarà sciocco, Chi insalerà? non sarà buono ad altro. Questo svanito, eh' a buttarlo fuori, Acciò sia pesto da chi passa. Voi Luce siate del mondo. Nessun mai Appiglia il lume, et 1' asconde ; ma sì Lo mette in mezzo, acciò che faccia lume A ciaschedun che gli è da torno : adunque Così risplenda 1' alma vostra luce, ATTO TERZO. 53 Che gli nomini U veglino, et ne dieno Gloria a quel Padre vostro eh' è nel cielo. 8. Piero. Signore, e' par che li profeti tuoi S' accordino, eh' il regno del Messia Sarà regno di pace et libertade, E che per quello il giogo della legge Et la servitù ebrea, saran levate ; Però dicci, se tal sarà in effetto. Giesù. Non pensate eh' io sia venuto in terra Per distrugger la legge, onde ne segua La libertà carnale. Io son venuto Per adempierla, et dico in veritade Che prima mancherà '1 cielo et la terra, Che un sol iota, o un sol punto caschi Da quella legge. Et chi osserverà Il minimo precetto, sarà minimo In cielo, ma chi più V osserverà, Sarà maggiore. Ma, avvertite bene, Che se vostra giustizia, in osservarla, Non sarà et maggiore et più sincera Di quella degli Scribi et Farisei, Voi mai non entrerete in cielo. S.Jacopo. Adunque, Insegnateci il modo a farla retta. Giesù. Disser gì' antichi, che chi occideva Eron rei della pena ; et io vi dico, Che chi terrà lo sdegno col fratello, Sarà reo della pena et del giudizio : Et chi V ingiurierà con le parole, 54 L ACQUA VINO. Sarà reo del consiglio : et chi sarà Così altier, che stimerà per sciocco Ogni altro a petto a se, sarà per ciò Degno del fuoco eterno : et se sarai Per offerire il tuo dono all' altare, Et ti ricorderai eh' il tuo fratello Abbia contro di te rancore et sdegno, Lascia il dono ivi, et trovalo, et fa seco Pace, et poi torna, et offerisci a Dio. S. Piero. Et se gli avessi offeso me ? Giesà. Pur trovalo, E 1' ammonisci con amore. Il simile, Se lo vedessi errare in qualche cosa : Ma fa da te et lui: et se t'. ascolta, Tu 1' arai guadagnato ; se non, piglia Duo testimoni teco, et fa il medesimo. Et se non si corregge, et tu lo dì Alla Chiesa, et se gli è pure ostinato, Lascialo, et sia a te come straniero. S. Piero. Insino a quante volte ho io signore A perdonare ? basta insino a sette ? Giesà. Et settecento sette, et quante volte Egli t' offende. S.Jacopo. Pur disser gli antichi, Dente per dente, et eh' il nimico s' odi' ! Giesà. Et io vi dico : a chi vi batte la Guancia sinistra, voltate la destra; E a chi vi toglie il mantello, lasciategli Di più la tonaca. Amate, adunque, ATTO TERZO. 55 Amate gli nimici vostri, et fate Del bene a quei che v' hanno in odio. Orate Per quei che vi perseguono, et che vi Calunniano, acciò che v' assomigliate Al padre vostro celeste, il qual fa Nascere il sole sopra i buoni e' rei, Et piover sopra i giusti, et degT ingiusti ; Perchè, se amerete sol chi voi Ama, et farete bene a chi ne fa A voi, or che mercede arete in cielo ? Non fanno questo stesso gì' infedeli ? Et se saluterete i fratei vostri Solamente ; noi fanno i peccatori ? Siate perfetti, come è il Padre vostro Perfetto, et avvertite di non fare IT opere buone al cospetto degli uomini, Per esserne da lor lodati, che Arete auta la mercede vostra! Et nel far la limosina, non sappia La tua sinistra, quel che fa la destra. Così quando voi fate 1' orazione, Non la fate, come fanno gì' ippocriti, In publico, per esserne lodati ; Nò fate lunghe dicerie, ma chiusi In casa vostra, orate a Dio dicendo : Padre nostro che sei nei cieli, sia Santificato il nome tuo, et venghi Il regno tuo in noi : sia fatta in terra Invoglia tua. si come è fatta in cielo : 56 L Af'QUA VINO. Dacci il pan necessario oggi, et perdona L' offese che facciamo a te, sì come Noi perdoniamo a chi noi ha offesi : Non ci lasciar condurre in tentazione Ma dal mal tu ci libera, Signore. Et vi dico, in proposito, che se Non perdonate a gli nimici vostri Di tutto cuore et tutta volontade ; Che ne il Padre mio perdonerà A voi. Né vi crediate eh' a dir solo, Signor, Signore, si guadagni il Cielo ; Perchè bisogna far quel* che Dio vuole, Et servirlo nel mo' che ci comanda, Non a capriccio del discorso umano. SCENA SECONDA SPOSO, GIESÙ CRISTO et ZATTO. Sposo. Signor, voi siate il ben venuto. Giesù. Et voi Il ben trovato. Sposo. T ho preso sicurtà Di scomodarvi stamattina. Giesù. Io sono In terra sceso a far comodo a tutti. Zatto. Entrate, Signor miei, che le vivande Sono in ordine tutte. ATTO TERZO. 57 Sposo. ' Entriamo, adunque. Giesìi. Pace sia et salute a questa casa , Et chiunque dentro abita. Zatto. E a me Che ne son fuori ; et vo' ci stare alquanto, Fin che sien fatte le benedizioni Et 1' altre cerimonie, che dovranno Essere sanza fine, et sanza fondo ; Ch' essendoci quest' uomo santo, et questi Seguaci suoi, ci fia da fare, innanzi Che e' si dica trana alle mascella. Oh, buon per me, eh' ho fatto su in casa Colezione a tre doppi. Io ebbi 1' agio Da poter entrar giù nella cantina, Et buscar dua pagliosi, che so dire Che e' fanno venir la lagrimetta, Che uno ne beccai lì, che fu a me Come succiare un uovo ; un altro poi M' entrò sotto la vesta, e a gambe, via ! Che quello stregonaccio del malanno, Ch' il giunga ora, di casa, non m' avessi Colto su '1 furto, et compostoci sopra Una mala tragedia : et me n andai In cucina, ov' io detti, lesto lesto, Di mano a un cappon freddo, et gli diedi Una spogliazza tal, che se suo padre Et sua madre 1' avessino scontrato, Non 1' arebbono mai riconosciuto. Poi detti intorno a certe altre cosette. 58 l' acqui vino. Tanta che ingoiai queir altro vino. Et così, posso stare ora a udire Le prediche e i sermoni a corpo pieno. Ma che tantaferata con 1' alloro È questa qua ? Bembo, casa Gonzaga, Che si risente all' odor degli arrosti ! SCENA TERZA Canzone cantata da' Contadini. ZATTO, GIANNINO, MAMBRE, SADOCCO. i MATUSALEMME. Viva, viva il nuovo sposo Con la sua sposa pulita ; Sanità et lunga vita Vi dia '1 ciel, pace et riposo. Tutti sian logoratoli Delle vostre processioni, Et venghian col maio fuori Con li pifferi et sveglioni. Et con tutti gli altri suoni Per sonarvi una stampita. Sanità etc. Et perchè del vostro bene Sentian pur qualcosa noi ; Prima ber dar ci conviene, ATTO TERZO. 59 Et la buona mancia poi ; Et così di tutti voi Loderenci alla partita. Sanità etc. Et perchè sian poveretti, Ogni cosa per noi fané, Pane, vin, carne et confetti, Purch' il corpo empia e le mane, Da goder oggi e domane, Perchè 1' opera è finita. Sanità, et lunga vita. Zatto. Odi là, se la villania sbombetta? Io ti so dir che se fussin moscioni, Si votere' tra loro et me la botte. Già nnino. Babbo, babbo, vedete quel peccione, Come gli ha il corpo grosso ? e' debbe avere Lo sposo in corpo. Mambre. Fa che non ti senta. Zatto. Che dì tu, fanciul mio ? questo qui è '1 sacco Dov' io tengo e confetti delle nozze. Giannino. Alle guagnelle ! Datemene un pugno. Zatto. Vieni allo sposo che lo sciogga. Giannino. Andiamo. Sadocco. Andian pur tutti ; vo' ci dien la mancia. Zatto. Fermate un poco; come dirai tu? Fa un po' conto, su, eh' io sia lo sposo. Giannino. « Messer lo sposo, et voi madonna sposa, Io sono un citto figliuol di mia madre, 00 l' acqua vino. Che soli venuto a comprar questa cosa, C ho fitta in ..dosso, a cettà con mio padre. Or se voi siate coppia generosa, Come si dice n le nostre contrade, Dateci di confetti un pieno staio, Che sian venuti per ficcarvi il maio. » Zatto. Tu vieni a punto, sa tu che far debbi, Matusalem ? contenta questa gente, Et a questo puttin dà un ducato. Giannino. Per me per me ? Zatto. Ben sai, che sarà tuo. SCENA QUARTA MATUSALEMME, ZATTO, GIANNINO e CARILLO. Matusal. Va, fa da te coteste smancerie, Otro da vino ! Zatto. E' vuol la baia ! Su, Venite meco in casa. Giannino. Andiamo, andiamo. Matusal. Se lo dicessi il cielo anche, e' bisogna Che ci sia stato menato le mani : Sessanta fiaschi di vino ! et qua giù Non n è quattro. Cavillo. In somma, che volete Voi inferir ? Matusal. Vo' dir che non e' è vino. ATTO TBRZO. 61 Cavillo. Cercatene nel corpo di quel porco Del parassito, et di queir altre pevere, A chi '1 padron ha voluto fidare Le chiavi della volta. Io so dire, Ch' e' dette la lattuga in guardia a' paperi. Malusai. Per mia fé', che noi sian vituperati, Ne so come mi far ; però che il nostro Di casa è peggio eh' ordinario. Cavillo. Egli è Da far bagniuoli a' pedignon de' gatti ! Malusai. E qui a torno non e' è a sei miglia Cosa che buona sia. Cavillo. Oh benedetta Sia Ghierusalemme ! oh, quivi al meno Vi se ne trova d' ogni tempo, et buono ! Malusai. Voglian noi dir che lo sposo n' avessi Fatto metter da canto qualche fiasco ? Cavillo. Gli è uom da ciò ? se non forse sua madre ! Malusai. Sarebbe ben domandamela. Cavillo. Eli' è Nel mezzo delle tavole. Malusai. Deh va, Prima che si finisca tutto il vino. Cavillo. Fareno ai convivanti, come s' usa Fare a' cavalli : mangiata la biada. Gli manderemo a bevere allo fiume : Ma egli è ben buttarvi prima Zatto, Ch' ha tanto vino in corpo, che farà Mutar sapore all' acqua. 62 l' acqua vino. Malusai. Deh, va via, Che non e' è tempo da burlar. Cavillo. Lor danno ! SCENA QUINTA DELBORA, CAKILLO et MATUSALEMME. Delbora. Carillo. Carillo. Che sarà? Delbora. Corri, va su. Che s' ha d' attigner dell' acque : va presto, Perch' il padron ti chiama. Malusai. Et perchè farne ? Delbora. Che ne so io ? Sapete voi, che su Non vi è più vino ? Malusai. Et io che ne so? Alle nozze mi par che si costumi Menar la mani per ciascun : ma come L' hanno saputo ? Delbora. Chi serve alla tavola Lo ha detto allo sposo, et così bene, Che si sentì per tutti e convivanti. Malusai. asini, indiscreti! Io ti so dire, Che noi saren la favola del popolo. Ma che disse lo sposo? Delbora Saltò in collera, Ma la madre di quel Griesù. che gli era ATTO TERZO. 63 A canto, lo quetò, et volto al suo Figliuolo, disse : E' non e' è vino. Et egli : Non è venuta 1* ora mia. Et ella Comandò allora, che s' enipiesser tosto D' acqua quelle cinque idrie, che sapete Che si tengono lì per far, sì come Fanno i Giudei, la purificazione. Così s' è dato mano, et son venuta A far ir sii Carillo. Malusai. Et che vorrà Far di queir acqua ? Delbora. Io che ne so ? dee forse Volerla far diventar vino. Malusai . Adagio ! Io lo vorrei vedere, e a pena a pena Lo crederrei. Delbora. E' dicon che gli è santo. Matusal. Santo! a sua posta, in tanto in tanto, e' mangia! Se non e' è altro riparo, io mi credo Ch' e' berà bianco. Delbora. E forse forse che E' non han fatto sparnazzio insino Ai contadini, et che non ne trincavano ? Matusal. Chi non ha ordin fa così : in queste Furie di genti si consumerebbe La vita eterna. Delbora. Ecco lo scalco fuora. CA l' acqua vino. SCENA SESTA ANANIA , MATUSALEMME et DELBORA. Anania. Matusalem, porta del vino. Malusai. Io posso Portarvi e fiaschi voti. E' non ce n' è ! Tu vuoi la baia? Anania. Anzi vo' la sdonnina, Che si può far con V aceto annacquato. Delbora. U' dite voi ? io ne dubito. Anania. donde Se ne provederà ? Malusai. Chi '1 sa, lo dica. SCENA SETTIMA CIRILLO, ANANIA, MATUSALEMME et DELBORA. Cavillo. dovizia, dovizia! ecco del vino, Ecco del vino, et è da Nipozzano ! Assaggiatene. Anania. Mostra. Malusai. Ch' è trovata Qualche covata? Cavillo. L' udirete dire ATTO TERZO. Anania. Io lo vo' pur ire a dire allo sposo, Del disordine grande: soglion gli altri Dare il buon vin da prima, et come poi S' è pasteggiato, si dà quel men buono : Costoro hanno serbato il miglior vino Insino a ora! Cavillo. Si, si, andate a dirlo ! Malusai Che s' è trovata qualche covatella Di fiaschi, forse, nascosta? Carillo. Assaggiatene. Malusai. non ti dicev' io, che e' era stato Menate ben le mestole pel dosso ? Corpo di santo arrosto, oh, gli è sì buono ! Carillo. Quest' è dell' acqua che s' attinse or ora Del pozzo. Matusal. San chi 1' ode ! Se nel pozzo Fussi quest' acqua, io leverei le secchie. Carillo. La sta così, e ce n è in casa tanto, Che ci sarà che ber per otto giorni : Ma non se ci sta Zatto ! Ohimè, vedete Che gli esce fuori con un' idria in collo, Che 1' ha rubata. Delbora. E' non gli piace 1' acqua ! Ma i' vogi' ire a veder dond' esce il vino. 65 66 li' ACQUA VINO. SCENA OTTAVA ZATTO , MATUSALEMME e CATULLO. Zatto. Oh corpo di mio padre, io non ho ancora Alli miei di' beuto il miglior vino, Et pur n' ho trangugiato la mia parte ! Matusal. Che vuol ei far di quell' idria ? Cavillo. Compagno, Tu n' hai voluta la tua parte ! Zatto. cielo, Carillo, sian noi desti, o pur dormiamo? Cavillo. Quest' è pur quella, eli' è pur quella, eh' io, Ch' io empie' or ora d' acqua di pozzo, Et sentite che vin, Matusalemme! Come può ei mai star, che la si sia Convertita sì tosto in sì buon vino ? Matusal. Oh miracolo grande! Zatto. A dirti il vero, Io ho tolta quest' idria, et sì la voglio Tenere in casa mia per divozione. Chi sa che questa non facessi come Fece 1' utel dell' olio della vedova Di Saretta, nel tempo già d' Elia ? Et se questo Giesù fa di quest' opre , Io crederrò che sia da quanto lui, Et forse più. ATTO TERZO. 67 Matusal. Voi non m' avete ancora Conta questa faccenda come sta. Zatto. E' ve lo potrà dir Carillo questo, Et io voglio portare il vino a casa. Carillo. Che non ti basta averne in corpo tanto? Zatto. Non vedi tu che ce n è pieno il pozzo ? Lascia goder della bonaccia ognuno, Che qui si può trincare a garganello! Matusal. Guarda s' e' corre ! E' non si cura adesso Che ella sia di pietra, et che sia piena. Ma, dì su questa cosa. Carillo. Noi empiemmo Quelle cinque idrie d' acqua insino al sommo, Come disse la madre di G-iesù ; Il qual come le vedde tutte piene, Et che le s' eron fatte traboccare Per far miglior misura, et quanto a noi Ci burlavamo di questa incannata; Egli alzata la mano benedissele, Et poi ci disse : Attingete, et datelo Allo scalco, che dia da bere a tutti. Matusal. Et non ci fé sopra altre cirimonie ? Carillo. Nuli' altro, in manco tempo eh' io non V ho Detto, onde stupimmo tutti quanti. Matusal. Or pensa quel che dissono quei eh' erano Lì alla mensa ! Carillo. Diventorno statue Per maraviglia! Matusal. In fatti, e' fia pur vero 68 L ACQUA VINO. Che e' sarà quel gran profeta, che S* è di già divulgato ! Cavillo. In quanto a me, Non saprei pòrci bocca, et credenti Ogni cosa di lui, perchè in fatti Il far sì tosto tramutare in vino Tanta abbondanza d' acqua, non è cosa Naturale. Matusal. Naturai? propio! in sì Poco spazio di tempo, et sanza metterci Su cosa alcuna? Cavillo. Anzi, sanza toccarlo ! Che diranno or gli Scribi e' Farisei, Che lo dentecchian sempre ? Matusal. Rimarranno Un monte di ghiotton, sì come gli ho Sempre tenuti : e' seguitan di fare Una bottega delle cose tutte Della religion, coni' egli han fatto Già per molti anni et molti, e la lor collera È, che quando Giesù lo dice loro, In sul mostacchio, all' aperta ! onde fanno Contro di lui tutti i cattivi oflìzii Ch' e' posson. Ma se fa di queste cose, Il popol doverrà darli tal credito, Che cotesti ghiottoni aran di grazia D' esser lasciati a consumare il tempio. Ma ecco fuor Giesù con tutti e suoi. Cavillo. Andiamo a rassettare il vino in casa. ATTO TERZO. SCENA NONA GIESÙ CRISTO, SPOSO, et altri. Giesh. Kendete lodi d' ogni cosa al Padre Eterno mio, che ni' ha mandato al mondo, Per mostrar la sua gloria,, et dare a voi, Se crederrete in me, la Tita eterna. Sposo. Eterno Padre, io vi ringrazio, et voi Diletto Signor mio, il qual vi siate Degnato d' onorar le nozze nostre Della presenza vostra, et provvedere, Con la benedizion vostra, al bisogno Nostro, facendo di pura acqua vino : Et vi suplico et prego, per queir alta Carità, che v' ha fatto venir prima Di cielo in terra, che vi piaccia, eh' io Sia del vostro collegio, perch' io intendo Di seguitarvi sempre, ovunque andate. Giesh. Benedicavi Dio, tornate in casa- Che or non è il tempo atto a questo : Ben tempo verrà ancor, che, seguitando La vostra vocazion, sarete meco In più felice et più tranquillo stato. Sposo. Eccomi ad obbedirvi apparecchiato. Oh Dio, che gran miracolo ho io visto In questo giorno ! Veramente questo 70 l' acqua vino. È il ver Messia, che è venuto al mondo ! Ma ecco fuor la sua madre et la sposa. SCENA DECIMA SPOSA, SPOSO, et MARIA vergine. Sposa. Io intendo, veneranda et cara Madre, Di seguir sempre le vestigie vostre. Sposo. Madre gloriosa del figliuolo Vero di Dio, o mia consorte cara, Or che favore è stato questo, che M' avete fatto in questo giorno ? ond' io Mi sento sì nel cuor mutato, come Nei vasi s' è mutata la fredd' acqua In prezioso vino : et son disposto Di seguitar perciò vostro figliuolo, Sì come prego te diletta sposa, Che seguiti la madre del Signore : Poi che 1' opere nostre in questo mondo Son acqua in vasi friggidi di pietra ; Nò le può altri far mutare in vino, Che la bontà celeste. Sposa. sposo caro, Voi ricercate me di quello stesso Che io volevo ricercarne voi ; Et ho pregato, et prego questa Madre, Che si degni accettarmi per sua serva. ATTO TERZO. 71 Vergine. Per figlia t' accetto io, figlia dolcissima, Et te, caro parente,, per figliuolo : Et andren disponendo molte cose, Sì, che ciascun ne rimarrà contento. Ma ben vi dico, che sì come dalla Legge di Dio vien maladetto quello Ch' all' opera di lui è negligente, Così ancora è ammonito ciascuno A farla con giudizio, et con discorso Sensatamente : et, in figura, fu Ordinato a Mosè già dal Signore, Che in tutti e sagrifìci che faceva, Egli mettessi il sale. In ogni stato Si può servire a Dio, et songli accette D' ogni luogo le preci a lui divote : Perciò restate nella casa vostra, Che tempo ci sarà di rivederci, Et vi ringrazio del convito che Ci avete fatto. Sposo. Anzi io ringrazio voi Con il vostro figliuol, che tal vivanda Data ci avete, che ogni altro cibo Ci parrà sciocco e insipido. Maria. Restate, Che i vostri contadin vengon di casa. 72 l' acqua vino. SCENA DUODECIMA CARILLO, MATUSALEMME et tutto il POPOLAZZO. Cavillo. Oh dovizia di vin! Venite a bere Tutti, i vicini, et chi passa per via. Matusal. Berà ciascun, poi che la botte è piena. Su cantate di nuovo al sposo un poco. ( 1 Contadini cantano la canzone già cantata, o altra a proposito J . . Oh buono ! oh buono ! non cantate più ! Eh basta ! eh basta ! Dio, ve' come ne Vanno saltando ! Ani, a riguatarci ! SCENA UNDECIMA ZATTO, CARILLO, MATUSALEMME. Zatto. « Ecco eh' io torno. Ei non si può negare, Che questo non sia stato un gran miracolo, A tal eh' io son disposto seguitare Questo profeta, rimosso ogni ostacolo ; Et da lato di lui non mi spiccare, S' io ne lussi anco cacciato col bacolo : ATTO TERZO. 73 Ch' io sarò certo, standogli vicino, Che non mi mancherà mai del buon vino. » Carillo. «Dunque tu vuoi seguir questo Giesù, Perchè ti dia da poter tracannare, Et -non per acquistar senno et virtù, Et poter la tua vita migliorare? Zatto. quanti, quanti, quanti credi tu, Che per star ben lo voglion seguitare ? Malusai. Ciascun farà per se. Zatto. Così cred' io. Carillo. Però pensi per se. Matusal. Addio. » Zatto. Addio. Matusal. Lasciamo uscir costor che vengon fuora. SCENA TERZADECIMA AMINADABBE, IOEL et OZZIA. Aminad. Che dite voi di questo gran miracolo ? Parv' egli, che pel primo che gli ha fatto Nel cospetto di questi suoi discepoli, Che sia stato apparente et manifesto ? Ioel. Veramente che sì, né ci può alcuno Appor gavilli, o dubitar di fraude ; Che noi stessi vedemmo attigner 1' acqua, Et votar quello che era stato prima Neil' idrie, et riempierle dal pozzo. 74 I-' ACQUA Y! Ozzia. Et ditemi, elio tutto questo fatto È passato per man di gente da Lui, dirò io, quasi conosciute, Che non e' è luogo a dubitar di fraude. Aminad. E anco, che vino era quel! lo scalco Se ne dolse, sì come voi sentisti, Con lo sposo, il qual disse a me di certo Di non aver provvisto sì buon vino, Et anche s' egli 1' avessi provvisto L' arebbe fatto dar da prima giunta. loel. Oh, conchiudianla qui, che costui sia Un gran profeta: et una cosa sola Mi fa maravigliar del fatto suo. Ozzia. Dite : che cosa ? Ioel. Questa tanta sua Conversazione universal con tutti. Elia si stava nel monte Carmelo, Et Eliseo ancora, et rare volte Discendevon tra '1 popolo, né mai Si trovavono a feste, o simil tresche. Giovanni, il suo parente, sta nell' Ermo, Et vive di locuste et mèi salvatico, Né mai passa le rive del Giordano : Questo Griesù, come vo' avete visto, Conversa sempre et con tutti ; si pasce Delli cibi commi come noi altri; Bee vino, e, in somma, fa vita comune: E quel che mi fa più maravigliare È. che ei sia venuto a queste nozze. ATTO TERZO. 75 Ozzia. Lo sposo è suo parente. Ioel. Alla buon ora! Anco Giovanni è parente, et non e' è, Perciò, venuto. Aminad. Questo conversare A me non dà fastidio, anzi che questo È un, quasi, de' segni del Messia : E ciò meritamente, perchè quello Ch' è mandato da Dio per salvar tutti, Bisogna che conversi anche con tutti. Et non avete voi sentito, ancora, Che lo 'sposo et la sposa paion quasi Risoluti a discior tra loro il nodo Del matrimonio, et seguir egli lui, Et la sposa la madre? Ozzia. Io 1' ho sentito, Et ni' è piaciuta la resoluzione Che la madre ha lor detta, eh' e' la pensino : E' non son passi da saltargli a furia, Perchè, nell' uno e 1' altro stato, sono Et de' contenti, et de' travagli assai. In quel del matrimonio, s' ha contento Nello aver de' figliuoi, perchè si veda Conservar nella specie quello, che Non si può pel marito conservare Nello individuo ; perchè i figliuoi, quasi, Si posson chiamare un sé medesimo. Ma le doglie del parto, et li fastidi Dello allevargli , la spesa, il pericolo 76 l' acquqa vino. Che rieschin cattivi ; son dolori Per lo più che avanzano il contento. Lo stato verginale, il puro et casto, Non ho dubio, che è lo stato angelico ; Non di meno, egli è molto sottoposto A tentazioni, et al mal dir de' tristi. Ioel. Ogni cosa ha in questo mondo il suo Emulo , et come dice quel proverbio, Tante son 1' erte alfin quanto le chine : Pur io, per dirne il ver, credo che chi S' appiglia a questo stato verginale, Compensati i dolor con 1' allegrezze, S' attenga alla via buona alla via retta, Da star di qua quieto, et di là bene. Aminad. Bisogna, a mio giudizio, in questo stato, Et questa è l' importanza a star quieto, Fermare in Dio tutte le sue speranze, Et tener d' ogni cosa temporale Poco conto, anzi nulla, che la porta Del cuor, quando 1' è aperta ai ben terreni, Bene spesso sta chiusa a (fuei di Dio. Ozzia. Cotesto è vero : non è vergin quella, Che è sola di corpo casta, et vergine : se pur vergine è, è vergin matta, Perchè a questa corporal, bisogna Accompagnar verginità di mente. Ioel. Oh coteste, sì ben, che son 1' accette Allo sposo celeste, et come sono Private qui del frutto corporale, ATTO TERZO. 77 Così deve la vergin partorire Il frutto delle buone opere in Cielo. Et beata a queir anima, che il fine La mira! il scopo suo fermerà quivi, Perchè tanto sarà a Dio più grata, Quanto si fia per lui dal mondo sciolta. Or, quel che seguirà di questi sposi, Noi lo vedremo alla giornata. A Dio. Ch' io voglio andare a fare un mio negozio. Aminad. Oh, ei ci resta a ringraziare il popolo Della cortese udienza. Ioel. Chi fa quel Che se li convien, non cerca laude : Essendo tali et tanti spettatori , Che si potea di lor prometter altro. Che quel che gli han cortesemente fatto ? Ozzia. E poi e' lo farà 1 popol minuto, Che di "casa vien fuor col fiasco in mano. Ioel. Per questa gente si farebbe bene, Che le cinque urne stessin sempre piene. SCENA QUARTADECIMA CARILLO, ZATTO et MATUSALEMME. Cavillo. La festa è fatta, et quasi che beato È il vin : però ve ne potete andare, Senza ber. 78 l' acqua vino. Zatto. Ma però, chi ne volessi Un' ampollina, come per ricordo Et devozion, la vi si potrà dare, Et a fatica. Malusai. Io ti so dir, per te Bisognerebbe che queir uom da bene Facessi tal miracolo ogni giorno. Zatto. Sì, io sono il traccanna! Orsù brigata, Voi siate tutti quanti licenziati. Cavillo. E se voi siate stati, A disagio per sorte.... Zatto. Vostro danno. Cavillo. A ristorarvi, forse, quest' altr' anno. IL PINE DELL ACQUA VINO. NOTE. Pag. 7. — CANA GAL ILE E : modo alla latina, che vale Catta di Galilea. Caria fu città di Galilea nella tribù di Zàbu- lon. Tale costrutto non si trova registrato ne' vocabolari. « 11. — DAR BECCARE; dar mangiare all' oche « 12. — SGUAZZO; allegria, gioia, tempone. Raccomandiamo questa voce ai vocabolaristi. « 12. — PREDELLA; arnese di legname, 'sui quale si siede. o sedendo si tiene i piedi. BALLORNO IXSIXO ALLE PRE- DELLE ; tutto ne prese allegrezza. « 12. — ZOCCOLO. ANDARE STARE LE GATTE IX ZOCCOLI vale essere in somma allegrezza. In casa tutti fanno baldoria, e nissuno bada se le gatte vanno per casa ed anche in zoccoli. « 13. — TRIPPOXACCIO ; uomo di gran pancia e gran man- giatore. Si cerca indarno nei nostri vocabolari. « 13. — SPxARBIER ; sparviere pel facile scambio tra il v e il h. « 13. — ARPIONE; ferro torto in su dall' un capo, e dall'al- tro conficcato nel muro, per appiccarvi che che sia. IMBOT- TARE ALL'ARPIONE significa comperare il vino di* per di', e appenderne il fiasco all' arpione. « 14. — PAXIOX T E; verga impaniata per uso di pigliare uccelli. 82 NOTE. Pag. 14. — PASTEGGIARE ; far pasto, mangiare. « 14. — APPOLLAIARE o APPOLLAIARSI; per traslato po- sarsi o stare in qualche luogo , come fanno i polli o gli uccelli, quando vanno a dormire. « 14. — LUNATICO ; chi ha il cervello, il quale di tempo in tempo patisce alterazione a somiglianza delle innovazioni della Luna ; fantastico. « 14. — OVE LA DO STAMANI ? Dove io vado a desinare ? « 15. — CENTOMILA DI QUEI GIALLI CHE ARDONO. GIALLO ; moneta d' oro nuova, che arde, brilla, risplende. « 15. — LA NEBBIA, CHE SI VEDE LA MATTINA, È DI PERICOL GRANDE AI CORPI, SE ELLA NON È IN- CANTATA. INCANTARE LA NEBBIA significa con una buona colazione e con un buon bicchier di vino nelle prime ore del di' cacciar V aria cattiva ed impedire die la nebbia mattutina guasti le viscere. « 16. — ANDARE A MONTE ; non proseguire, non compiere un negozio , maniera tolta dal giuoco delle carte , che si ricompongono nel monte o massa di esse carte. • « 16. — NEI BISOGNI SI CONOSCON GLI AMICI; nell'av- versità si conosce chi è vero amico. « 16. — SOFFIARE IL NASO ALLE GALLINE; spiccatissi- ma frase per mettere in canzone certi faccendieri, che vo- gliono sapere e dire tutto loro, togliendo la mano agli altri. « 16. — ARCHITRICLINO ; quegli che à cura della mensa, che soprantende al convito. « 17. — ARCHITETTURA; qui buon gusto nel disporre le cose. « 17. — SPIZZECA; spilorcio. Il vocabolario non ne porge esempio. « 17. — LISTRA; lista, nota. « 18. — CHE È A ME ? Che ho che fare io, che importa ? NOTE. 83 Pag. 18. — IN QUESTO MONDO IMPAZERIEN LE PALLE CH' HANNO IL CERVEL DI BOERA. Nel cercare la verità impazzirebbero anche le palle, le quali hanno altro cervello da quel dell' uomo : tanto è difficile trovare il vero. « 19. — SGUAZZATORE ; uomo che si dà tcmpone, che sta m allegria. « 19. — SALVAR LA CAPRA E 'L CAVOLO ; far del bene a uno o salvare una cosa, senza pregiudizio d'altrui o d' altra cosa. Il proverbio nacque da questo caso: Un villano, viag- giando a piedi, con l' una mano teneva una funicella, alla quale era legato un lupo, con 1! altra in simil guisa una capra, e sotto il braccio un fastello di cavoli. Giunto ad un fiume, che non si potea guadare e solo si passava so- pra un ponticello d' un' asse a pena possibile ad una per- sona, come governarsi? Lascia lupo e cavoli, e mena di là la capra. Ritorna di qua pel lupo, e condottolo all' al- tra sponda, ivi lo lega ad un bastoncello. Scioglie la capra e con essa viene a prendere i cavoli, coi quali oltrepassa. Riviene per tragittare la capra, che salvò così insieme coi cavoli. « 20. — DAR PIANO IN SUL NOCCIOLO; procedere riguar- dosamente, moderatamente. « 20. — IL DESINARE DE' LUPI ; de' divoratori, ghiottoni. « 21. — BAGGIANE ; parole buone e persuasive. « 21. — AVER VOCE IN CAPITOLO ; poter pigliar partito. aver diritto del voto, del suffragio. « 21. - CHI È 'N TENUTA IDDIO L' AIUTA; chi è in pos- sesso è di miglior condizione che altri. « 22. — DOLICO o IDOLICO ; che per fatica durata o per su- dore rappreso sente dolori muscolari per tutta la vita. Non potrebbe trovar favore presso i vocabolaristi ? 84 NOTE. Pag. 22. — HANNO LA DISCREZIONE ALLE CALCAGNA; mn hanno discernimento , quasi mancassero d' intelletto ed ope- rassero non secondo ìa mente; ma giusta le calcagne. « 23. — DONORA, feniinile plurale ; ciò che oltre alla dote si dà alla sposa, quando va cdla casa del marito. « 23. — AVERE IL CUL TERROSO ; possedere terreno. « 23. — SDOMINO, SDOMINAZIO; signoreggio, signoria, do- minio. « 23. — CONOSCO LE GALLINE SENZA CALZARE, o ALLA CALZA torna come un dire conosco la natura o costume di tede o tale altro, conosco il mondo. Le donne popolane e massaie, affin di riconoscere le lor galline che girano pel villaggio, metton loro un cencetto colorato allo stinco. « 23. — NOVELLE DA DIRLE A VEGGHIA ; cose di nin- na importanza, parole da passare il tempo e nulla più, di- scorsi vani. « 23. — TU CONFORTI E CANI ALL'ERTA; incitare altrui a fatica, per risparmiare sé stesso. La è maniera Gavata dalla bestia più obbediente all' uomo. « 24. — A NESSUN CONFORTATOR MAI DOLSE LA TE- STA ; quando uno conforta a cosa, che egli non vorrebbe fare, spesso riceve in risposta tale proverbio che suona, essere più facile il consigliare che V eseguire. « 24. — DARE NEL LUME; adirarsi, andare in furia, dar nelle furie. « 24. — SAVORE; salsa fatta di noci peste, pane rinvenuto, agresto premuto ed altri ingredienti. « 24. — DIRIZZARE IL BECCO AGLI SPARVIERI ; tentare cose impossioili. « 24. — AVERE LA PALLA IN MANO E LA MESTOLA: avere podeste), padroneggiare, comandare. NOTE. 85 Pag. 24. - GUARNACCA o GUARNACCIA ; lunga veste, che portavasi di sopra, forse zimarra. « 24. — STU ; se tu. « 24-25. — INTENDER BENE IL TIGLIO DELLA CARNE; le fila delia carne. E da reputare errore di stampa : Il taglio della carne. « 25. — TOE ; toglie, da toire o toere. « 25. — VIVERE DI' PER DI' ; non avere assegnamenti o provisioni, se non ciò che giorno per giorno si procaccia. « 25. — AVVERBIO : in bocca di questo parassito , che non bada più che tanto alla proprietà delle parole, sta in luo- go di proverbio. « 25. — ALLOGGIARE ; porre, tenere. « 25. — LASCIAR ANDARE IRE L'ACQUA ALL' INGIÙ; lasciar che le cose vadano come le vanno. « 26. — DIO VI DIA SANITÀ E FANCIUL MASCHIO, SA- LUTE E FIGLIO PUTTO MASCHIO. Augùri consueti in parecchie provincie d' Italia. « 20. — FORSE CHE NON TENNE ALLA PRIMA? non ten- ne V invito alla prima, si fece pregare ? « 27. — STARE IN SU LA SCHIENA; stare pettoruto, con una certa aria di pretensione. « 28. — NON PUÒ STAR A GIUNGER TROPPO ; non può star troppo a giungere. « 28. — SPEDITO ; spacciato, sbrigato. « 30. — OSTICO ; ostiere, ostiero, albergatore, albergato. « 30. — SCANDOLEZZO ; scandalo. « 30. — STANFANATA ; serenata. « 30. — CAVARE UNA SATOLLA BUONA ; cavare tanta quantità di cibo da saziarsi. Dicesi anche torsi una satolla. « 30. — PORRÒ INTANTO A CIGNA A SPESE SUA seni- 86 NOTE. bra s' abbia ad intendere : Intanto mi tengo dal mangia- re, non allargando la cintola, perchè mi satollerò poi alle site spese. Pag. 30. — COEBEZZOLA; frutto ritondo, ovato, che gialleggia nel rosso, e come una grossa cerasa. « 30. — ENNO ; sono. Voce tuttora vivente in Toscana, e ri- sulta dalla consueta giunta del no alla terza singolare, nella quale poi si raddoppiò 1' n. « 31. — PAPASTKONZOLO , forse storpiatura di rapcronzo o raperonzolo ; erba da mangiare in insalata. « 31. — TERRACREPO, lo stesso che TERRACREPOLO ; spe- zie di cicerbita, che nasce per le muraglie antiche e man- giasi in insalata. « 31. — APPIPITO, voce contadinesca; appetito. « 31. — SON RIPIENI ; sazi. « 31. — SCADUTO ; debole, infiacchito. « 31. — FISTOLO ; diavolo.. « 31. — IMBOLATO ; involato, rubato. « 32. — FAR QUALCHE BUDEL D' ENGIURIA ; qualche poco d' ingiuria. « 32. — ANDARNE o METTERVI IL MOSTO E L'ACQUE- RELLO ; consumarvi sì le buone come le cattive sustanze. « 32. — FAR LA GATTA MORTA ; simulare di esser soro o semplice. Similitudine ricavata dalla gatta, che quando vuol uccellare si colca per morta, aspettando il buon dato di gettarsi sopra la preda. « 32. — CANCELLASSI; assolvesse, perdonasse. « 32. — GRATISSE ; gratis, gratuitamente. « 33. — MONA COLIEI, in linguaggio -contadinesco ; colei. « 33. — BASTAGIO ; facchino portatore. ■< 34, — GAVOCCIOLO ; enfiato cagionato per lo più dalla peste. NOTE. 87 Pag. 34. — VINO CHE HA I PIE GIALLI ; è quello, che gialleg- gia e comincia guastarsi. « 34. — CANTASTI ^NOCCHINO; primo germoglio che spun- ta dalla radice del finocchio, in maniera scherzevole. « 34. — SARÒ GIUNTO COME VUOL ESSER L'ARROSTO; Dicesi questo proverbio , quando alcuna cosa succede op- portunamente. « 35. — A VALE ; adesso, ora. « 35. — CO' SUON GROSSI E COL MAIO ; in segno di alle- grezza. MAIO; ramo d'albero, che pianiamosi la notte di calen di Maggio dinanzi all' uscio dell' innamorata. « 35. — ORLIQUIE, in maniera contadinesca ; reliquie, rima- suglio, avanzaticci. « 35. — CATRIOSO o CATROSSO; ossatura del cassero de' polli o d' altri uccelli, scussa di carne. « 35. — GITTONE ; accrescitivo di ritto, ragazzo. « 35. — MOGLIATA; moglie tua dal provenzale mos, tos, sos ì ma, ta, sa adoperati come affissi. « 35. — TAMANTO ; tanto grande, tanto fatto. « 35. — PERRA ; sincope di penerà. « 36. — CAPARRONE ; caprone, montone. « 30. — STECCARIELLO, o STECCARELLO ; steccadentc, stuz- zicadente. Sarebbe da registrare nel vocabolario. « 37. — VADIA ; vada, frammesso 1' i come in nieve , hrievc, Gierusalemme pag. 39, Giesù pag. 46. « 38. — BÈ ; parola accorciata da bene, ripieno. « 38. — INFOCATO ; del color del fuoco , rosso vico. Non è notato in questo senso. « 39. — FAR PROFESSIONE DI LETTERATO, DI BEL DI- CITORE , D' ORATORE, E DI LETTERE. Bei modi, che si riscontrano in questo nostro Comico. 88 NOTE. Pag. 40. — STRALE; freccia, saetta. 40. — ANDARE A CAPO EOTTO o COL CAPO EOTTO ; ri- manere al di sotto in una quistione o affare, andare perdente. « 41. — GIUSEPPO ; Giuseppe. « 41. — DI CHETO ; chetamente, di modo cheto. « 41. — STAEE A CURA D' UNO; esser a cura d' uno. <■< 42. — GUASTAR LA CODA DEL FAGIANO ; narrare un fatto, lasciando il meglio. Una tal maniera è citata nel vocabolario; ma non à esempio. « 43. — NAZZAEEO ; di Nazaret, Nazzarettc. « 45. _ BUON CAVALLO È UN RAGIONAMENTO PIACE- VOLE ; quando si ragiona di cose che piacciono, si fa presto la strada. Maniera da essere allegata nel vocabolario. « 40. _ CHI DÀ SPESA NON DE DAR DISAGIO ; chi vive all' altrui spesa, chi è convitato, deve essere pronto e non incomodare « 47. — COVELLE, CAVELLE ; qualche cosa, « 47. — CIASCUNA BESTIA FA IL SUO VERSO ; ognuno parla secondo sua condizione. -< 48. — CETTÀ; città. « 48. — ZACCHEEELLA ; qualunque rosa di piccolo pregio, bagatella, ninnolo, gingillo. « 48. — CITTO ; putto, ragazzo. « 48. — AVVERBIO ; proverbio. « 48. — MANUCARE ; mangiare. « 48. — MOGLIAMA o MOGLIEMA; moglie mia, vedi p. 35. « 48. — MENALLO ; menarlo. « 49. — NAQUETTI ; nacqui. « 49. — MASTIO; maschio, mutato in t il e aspro, come ta- lora si fa col gh in d, Ghiaccio, diaccio. 49. — MOEINNO : morirono, formato il plurale con la ginn- NOTE. 89 ta del no, e raddoppiata 1' n- per meglio rilevare il suono. Pag. 49. — DECIMO - SEI DECIMO DA VERO. Qui vale scioc- co , scemo , scimunito , quasi mancante di cima , di capo e quindi di mente. « 49. — LAGATEMI da LAGARE, lasciare. I Provenzali usa- rono laissar, tassar, laichar, lacìiar; e da codest' ultimo si cambiò tra noi il e in g per una certa liscezza, donde lagare o laggare. « 49. — VAGGA ; vada, da vaggere. « 49. — COSTANCIOLTRE ; di costà oltre. « 49. — PANNO DI DOGAGIO o DOAGIO IN TREAGIO. DOAGIO dalla città di Fiandra donde veniva. TREAGIO a mo' di scherzo contrapposto a DUAGIO , per significare una maggior finezza di panno. « 49. — COSO ; cosa, tutto ciò, di che non ci sovviene il nome. « 50. — CAPPARUCCINO ; diminutivo di capperuccio , parte della cappa che ricopre il capo. Il vocabolario ne porge il solo accrescitivo. « 50. — SONAGLINO ; piccolo sonaglio. « 50. — PARESSI UN DI QUELLI UCCELLON CHE STAN- NO IN GABBIA CHE DICON: CHI LO RUPPE? TU, TU, TU! Egli è il papagallo. « 50. — GHIECONIA. Nella stessa Farsa in prosa è JE- CONIA. « 50. — CAPONCELLO , diminutivo di CAPONE ; caparbio, festereccio, pertinace, ostinato. Trovi grazia dinanzi a' les- sigrafi. « 50. — STIATTONI. STIATTONE o SCHIATTONE , accre- scitivo di SCHIATTA o STIATTA; rigoglioso, atticciato. Da allegare nella Crusca. « 50. — INTU LA TESTA; entro la testa, daìYintus de' Latini. 90 NOTE. Pag. 50. — SCOLORATO ; perduto il colore. Si desidera nel vo- cabolario, che ammette SCOLORARE. « 51. — SUONA ; il sonare con determinata lunghezza di tem- po, sonata. « 51. — FAR COTENNE ; far superbia, andar superbo. « 52. — CHI INSALERÀ; aspergerà di sale. È da notare la maniera assoluta di questo verbo. « 52. — APPIGLIARE IL LUME ; appiccare il lume. « 52. — DA TORNO ; dattorno, intorno, « 53. — TENERE SDEGNO o LO SDEGNO ; avere rancore, avere ira, adirarsi. Modo da notare. « 54. — SARÀ REO DEL CONSIGLIO. Nella stessa Farsa in prosa il Gecchi disse: MERITERÀ DI ESSER CACCIATO FUORI DEL CONSIGLIO E RITROVO DEGLI ALTRI UOMINI. « 54. — DENTE PER DENTE; tale sia il castigo, quale è stato il danno. Ciò sarebbe secondo il contrappasso o pe- na del talione. Come uno passa il debito della ragio- ne , cagionando il male ; così la giustizia passa contra il debito della natura in renderne la dovuta pena. E ma- niera notabile. « 56. — PRENDERE SICURTÀ ; fare a sicurtà, a fidanza, te- sare dell' altrui volontà con sicurezza e confidenza. « 57. — TRANA ALLE MASCELLA. Tranare; trainare pare qui accenni muovere le mascelle, e quindi mangiare. « 57. — A TRE DOPPI ; a gran quantità. « 57. — BUSCAR DUA PAGLIOSI; due fiaschi, detti così, per- chè vestiti di sala o paglia. È voce usata per ischerzo, né il vocabolario 1' accenna. « 57. — FANNO VENIR LA LAGRIMETTA. Per 1' affinità, che i nervetti del palato possono avere con rocchio, il vino NOTE. 91 forte e generoso urta siffattamente e quelli e questo , che fa venire una ed altra lagrima. Pag. 57. — GLI DIEDI UNA SPOGLIAZZA TAL CHE. Qui sta per mangiarsene una gran quantità di carne, spogliarlo di carne. « 58. — TANTAFERATA; ragionamento lungo di cose tra loro disparate. « 58. — BEMBÈ ; ben bene. « 58. — BEMBÈ, CASA GONZAGA. Nello stesso componi- mento in prosa leggesi: Dirò eh' ei vengan qui a casa Gonzaga. « 58. — LAGORATORE ; lagoratore, lavoratore. « 58. — SVEGLIONE, accrescitivo di SVEGLIA; antico stru- mento da sonare col fiato. « 58. — STAMPITA ; sonata, o canzone accompagnata col suono. « 59. — FANÉ ; fa, aggiunto il ne per una certa morbidezza. « 59. — VILLANIA ; la compagnia de villani. Ai vocabolaristi. « 59. — SBOMBETTARE ; bombettare, sbevazzare, bere spesso. « 59. — MOSCIONE ; insetto, die sta intorno alle botti o tini, nasce per lo più nelle tinaie al tempo del mosto. « 59. — PECCIONE ; pancione, accrescitivo di peccia ; pancia. Si desidera nei vocabolari. « 59. — ALLE GUAGNELE o GUAGNELLE ; maniera di sacramentare sul vangelo o vangete cambiato il v in gu. « 59. — SCIOGGA ; sciolga, da scioggere, voci comuni tra i con- tadini toscani. « 60. — FICCARE IL MAIO ; piantare il ramo del maio. « 60-64. — VOLER LA BAIA; voler la burla, lo scherzo, la berta, scherzare. « 61. — PEVERA ; strumento di legno per uso d' imbottare, qui sta per beone, gran bevitore. « 61. - DETTE LA LATTUGA IN GUARDIA A' PAPERI ; 92 NOTE. dar guardare una cosa a persona, da cui per appunto biso- gnava rimuoverla. Pag. 61. — PEDIGNONE ; infiammazione generata per freddo in tempo d' inverno né calcagni e nelle dita delle mani e da' piedi. VINO DA FAR BAGNIUOLI A'PEDIGNON DE' GATTI; vino di poco pregio. « GÌ. — CONVIVANTE ; che fa banchetto o convivio. Il voca- bolario non fornisce esempio di cinquecentista. « 63. — IDRIA ; sorta di vaso o urna da acqua. « 63. — A SUA POSTA ; a suo piacimento, a suo beneplacito. « 63. — BERE BIANCO ; fallire la speranza , il disegno , ma- niera estratta dalle polizze de' lotti, che, quando non sono benefiziate, le sono bianche. « 63. — SPARNAZZO ; sparpagliamento, scialacquio. « 64. — SDONNINA. Di questa voce non riesce intendere il significato. « 64-65. — COVATA, COVATELE A. Qui pare s'abbia da pi- gliare per ripostiglio, o quantità. « 65. — MENARE LE MESTOLE PEL DOSSO ; rigirare al- trui ad ingegno a proprio vantaggio. Par maniera notabile? .« 66. — UTELLO; vasello di terra cotta invetriato da tenere olio, aceto e simili. « 66. — CREDERÒ CHE SIA DA QUANTO LUI? valga quan- to lui. Questa è costruzione elittica, e torna come: Sia da tanto, quanto lui, e la particella da indica derivazione di forma. « 67. — TRINCARE A GARGANELLO ; bere assai e senza appressare il vaso alle labbra, il che si fa piegando all' in- dietro il capo e versando d' alto il liquore in bocca. Ne' voca- bolari non si truova né garganello, nò esempio di tale frase. « 67. — INCANNATA; intrecciatura di cirirge ad una canna NOTE. • 93 ri fessa in quattro; avvolgimento di filo sopra cannone o roc- chetto, e per traslato, intrigo, avvolgimento, viluppo. Pag. 67. — SCALCO ; quegli che ordina il convito e mette in ta- vola la vivanda ed ancora quegli che la trincia. « 08. — PORCI BOCCA ; entrare a parlarne, trattarne, ragio- narne. « 68. — DENTECCHIARE ; rosecchiare, venire mordendo, ad- dentando. « 68. — UN MONTE DI GHIOTTON ; massa, gran quantità di furbi, giuntatori. « 68. — MOSTACCHIO. Qui pare nel senso di MOSTACCIO ; muso, faccia, volto. « 69. — SEGUITARE o SEGUIRE LA VOCAZIONE ; secon- dare V interno movimento , pel quale uno è chiamato a tal genere di vita. « 71. — CIBO SCIOCCO ; scipito, senza sapore. « 72. — ARRI A RIGUATARCI; quasi briaclii non potessero proferire intero ARRIGUATARCI ; a riguardarci. « 72. — BACOLO, BACULO ; bastone, « 73. — APPOR GAVILLI o CAVILLI; opporre argomenti che hanno in sé fallacia. « 74. — DA PRIMA GIUNTA ; sul bel principio. « 74. — FA VITA COMUNE ; vive come i più o tutti vivono. Non pare modo da tralasciare. « 75. — NON SON PASSI DA SALTARGLI A FURIA; non è partito o risoluzione da pigliare furiosamente o a grande fretta. « 76. — EMULO; contrario, opposito. « 76. — TANTE SON L' ERTE QUANTO LE CHINE ; ogni cosa ha il suo diritto e il suo rovescio, ha il buono e il cat- tivo, il male è compensato col bene. « 78. — IL TRACANNA; il traeannatore. il beone, il bevitore fuor di misura. VOCI E MANIERE MANCANTI NE' VOCABOLARI CANA GALILEE, pag. 7. CAPONCELLO, pag. 50. OAPPERUCCINO, pag. 50. CAVALLO — BUON CAVALLO, pag. 45. CONVITANTE, pag. 61. DOLICO, IDOLICO, pag. 22. GARGANELLO — TRINCARE A GARGANELLO, pag. 67. GUASTAR LA CODA, pag. 42. IDOLICO, DOLICO, pag. 22. INFOCATO, pag. 38. INSALARE (assol), pag. 52. PAGLIOSO — BUSCAR DUA PAGLIOSI, pag. 57. PECCIONE, pag. 59. SCHIATTONE o STIATTONE, pag. 50. SCOLORATO, pag. 50. SDEGNO - TENERE SDEGNO, pag. 53. SGUAZZO, pag. 12. SPIZZECA, pag. 17. STECCARELLO o STECCARIELLO, pag. 36. TENERE SDEGNO, pag. 53. TRIPONACCIO, pag. 13. VILLANIA (compagnia di villani), pag. 59. VITA COMUNE — FAR VITA COMUNE, pag. 74. EDIZIONE DI ESEMPLARI 75 IN CARTA REAL GRANDE DI FABRIANO E 5 IN CARTA SOPRAFFINA GIALLA ■T. I e t v -vm \ / J j if 7